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In questi giorni, scorrendo le pagine dei quotidiani abbiamo letto le paure delle associazioni datoriali agricole e di molti datori di lavoro circa lo scarso numero di lavoratori presenti al momento nelle campagne italiane. Come si sa, il mese di marzo rappresenta l’inizio della primavera e di conseguenza la necessità di raccogliere nuovi frutti ed ortaggi, come le fragole e gli asparagi. E così, il presidente nazionale di Confagricoltura dichiarava qualche giorno fa: “Oggi abbiamo una richiesta media di circa 250.000 unità di lavoro. C’è difficoltà a far venire in Italia i collaboratori storici provenienti prevalentemente dall’Est Europa”.
Secondo la Coldiretti, con il blocco delle frontiere, causato dall’emergenza coronavirus, sarebbe a rischio più di un quarto del made in Italy. Il suo presidente, Ettore Prandini, ha proposto l’utilizzo dei voucher “che possa consentire da parte di studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne dove mancano i braccianti stranieri”. La soluzione, a quanto pare, sarebbe il ritorno ai voucher, per non contrattualizzate studenti e/o pensionati e per non offrire, specie nel contesto della attuale crisi sanitaria, nessuna copertura economica per malattia e infortuni.
Su questo punto anche il foggiano Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza cooperative agroalimentari, che con le sue 5000 imprese associate detiene il 25 percento del fatturato alimentare del Paese, ha dichiarato: “Abbiamo assistito in queste settimane ad una partenza di lavoratori UE ed extra Ue: non c'è personale adesso che accetti di venire a lavorare nel nostro Paese. Pesantissime sono le ripercussioni sulle produzioni attualmente in campo, come gli asparagi - per i quali mancano all’appello migliaia di lavoratori - ma sono a rischio tutte le produzioni primaverili, a partire dalle fragole - una delle soluzioni proposte potrebbe essere rivolgersi a chi oggi percepisce il reddito di cittadinanza”.
Ebbene, com’è possibile che in provincia di Foggia non si trovino lavoratori agricoli? La Provincia d’Italia con il più preoccupante fenomeno di segregazione abitativa, i cosiddetti ghetti dove vivono oltre 5000 persone straniere in cerca di lavoro e con i suoi oltre 50 mila operai agricoli braccianti (per due terzi comunitari e per la parte restante africani) ha davvero bisogno di nuovi operai agricoli? L’agricoltura di Capitanata, da sempre caratterizzata da una elevata flessibilità nell’utilizzazione delle prestazioni lavorative, a partire dagli anni ’90 ha subito “passivamente” il passaggio da una gestione a carattere puramente familiare post latifondista ad una più strettamente imprenditoriale con l’impiego sempre più rilevante di manodopera esterna.
Negli stessi anni, alla diminuzione dei lavoratori italiani si è accompagnato lo smantellamento del collocamento pubblico, con l’eliminazione di ogni forma di regolazione amministrativa del mercato del lavoro, e la contemporanea sostituzione di lavoro non professionalizzato con l’afflusso di manodopera straniera nel settore. Il vuoto occupazionale è stato così riempito da un numero sempre più importante di lavoratori immigrati noti alla cronaca soprattutto per le condizioni di lavoro essenzialmente improntate allo sfruttamento e al caporalato.
Secondo il Crea-Pp su dati Inps, i lavoratori neocomunitari tra dimoranti e stagionali, all’interno del territorio della Capitanata sono 12.831 con un numero complessivo di 627.688 giornate dichiarate, ossia con una media di 49 giorni di lavoro all’anno. Gli extracomunitari sono invece 8.284 con 467.816 giornate dichiarate, dunque circa 56 giornate all’anno. In quest’ultimo caso, il saldo è leggermente superiore perché negli extracomunitari risultano anche albanesi e marocchini oramai residenti da molti anni e con professionalità più avanzate. Se consideriamo, infine, i lavoratori del Centro Africa si nota che dei 5.701 regolari presenti negli elenchi anagrafici Inps della provincia Foggiana solo 1.462 riesce a raggiungere la quota delle 51 giornate lavorate durante tutto l’anno. Oltre la metà dei lavoratori non supera le 10 giornate dichiarate.
Sicuramente in questo dato si nasconde tanto lavoro nero/grigio ma se è vero che molti lavorano più di quanto dichiarato dai datori di lavori vi sono migliaia di persone che vivono nei ghetti e non riescono a trovare un’occupazione. Ebbene come può un sistema con un numero così ampio di persone disponibili a lavorare ad avere problemi di occupazione? Il tutto è riconducibile all’incontro tra domande ed offerta e, dunque, al caporalato. L’impiego dei lavoratori neocomunitari ed extracomunitari comporta un assetto organizzativo che le aziende in questi anni non hanno mai voluto predisporre, preferendo l’esternalizzazione di esso a caporali della stessa nazionalità. Il reclutamento, il trasporto e la direzione sul campo vengono affidati a caporali della stessa nazionalità dei lavoratori, che occupano il vuoto istituzionale ricorrendo al cottimo ed ampliando il sottosalario.
Come è facilmente intuibile con i controlli delle forze dell’ordine sui trasporti sta venendo meno la possibilità dei caporali di trasportare lavoratori. Il sistema criminale, più volte denunciato in questi anni dalla Flai Cgil, è entrato in crisi profonda non riuscendo più a garantire alle aziende manodopera a basso costo. I caporali non potendo viaggiare con i furgoni, con i quali in media trasportano ogni giorno circa 20/30 lavoratori, non riescono a garantire quell’anello fondamentale per far si che il sistema continui imperterrito a funzionare nonostante le norme di contrasto. Ricordiamo che, sebbene l’art. 603-bis c.p. e poi la legge n. 199/2016 abbiano previsto e disciplinato il reato di caporalato (e di sfruttamento lavorativo), questo era e resta il metodo principale con il quale tante aziende si avvalgono dei lavoratori.
Ci auguriamo che l’emergenza coronavirus termini al più presto. Allo stesso tempo, ci auguriamo che le istituzioni raccolgano l’appello lanciato dalla Flai-Cgil e da alcune associazioni del terzo settore, con cui si chiede una tempestiva regolarizzazione di tutti i migranti costretti a vivere negli insediamenti informali e nei ghetti, al fine di tutelarne la salute e di ampliare il bacino di lavoratori disponibili. Ma soprattutto ci auguriamo che le aziende abbiano capito che vi devono essere delle alternative al sistema di reclutamento e trasporto dei caporali. La Rete agricola di qualità serve a questo e noi continueremo a batterci per dare dignità a tutti i lavoratori e alle lavoratrici del comparto.
Raffaele Falcone è il segretario Flai Cgil Foggia