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Il 4 gennaio 1927, in seguito ai provvedimenti emessi dal Fascismo, il vecchio gruppo dirigente della Cgdl decide l’autoscioglimento dell’organizzazione. Contro tale decisione Bruno Buozzi ne decreta la ricostituzione a Parigi. Sempre nello stesso anno, nel febbraio 1927, durante la prima conferenza clandestina di Milano, i comunisti danno vita alla loro Confederazione generale del lavoro.
In questo modo, dalla fine degli anni Venti e fino alla caduta della dittatura fascista, convivono due Cgdl: una di ispirazione riformista, aderente alla Federazione sindacale internazionale, l’altra comunista, aderente all’Internazionale dei sindacati rossi. A capo della Cgdl comunista sarà chiamato nel 1930 Giuseppe Di Vittorio.
Fino alla metà degli anni Trenta i rapporti tra le due Confederazioni si mantengono tesi, soprattutto a causa della decisione presa dalla Terza internazionale di contrastare i riformisti, accusati di socialfascismo. Quando però il pericolo fascista diviene concreto, soprattutto in seguito alla presa del potere da parte di Adolf Hitler in Germania (gennaio 1933), le diverse componenti della sinistra riescono a trovare un terreno comune di iniziativa, evidente nella politica dei Fronti popolari in Francia e Spagna.
Gli effetti si faranno sentire sia sulla politica italiana, con la firma nel 1934 del Patto di unità d’azione tra Pcd’I e Psi, sia sul sindacato. Il 15 marzo 1936 Bruno Buozzi e Giuseppe Di Vittorio si incontrano a Parigi e firmano la piattaforma d’azione della Cgl unica.
Scriveva Di Vittorio in occasione del primo anniversario della scomparsa di Buozzi: “Chi scrive ha potuto seguire l’opera di Buozzi in Italia ed in esilio ed ammirarne la continuità, anche quando questa opera costava non lievi sacrifici. Io mi legai d’una particolare amicizia personale con lui, sin dal 1934, da quando fummo per lunghi anni entrambi componenti il Comitato d’unità di azione socialista e comunista, poi nel grande movimento popolare antifascista creato su basi unitarie nell’emigrazione italiana all’estero. Mi sia consentito di affermare che in quella nostra attività comune sorsero i primi germi di quella più vasta unità sindacale realizzata in seguito e di cui Buozzi fu uno degli artefici principali”.
I due si incontrano nuovamente nel carcere parigino de La Santé nel febbraio 1941 come racconterà lo stesso Di Vittorio.
Il nostro incontro avvenne nel febbraio 1941, nella prigione de La Santé. Ignoravo che anche Buozzi si trovasse rinchiuso nella stessa prigione. Un giorno, verso la fine di febbraio, la polizia hitleriana addetta alle funzioni carcerarie, trasse dalla monotonia delle celle d’isolamento un folto gruppo di detenuti per una corvée. Bisognava scaricare alcuni autocarri carichi di eccellente pane, destinato ai nostri carcerieri. Fummo raggruppati in un cortile, dal quale poi, per gruppi di dieci detenuti in fila indiana, scortati da guardie armate di mitra, si partiva carichi di sacchi ripieni di pagnotte, verso i magazzini dell’immensa prigione.
Fu in quel raggruppamento di detenuti comandati alla corvée che rividi Bruno Buozzi. Appena i nostri occhi si incontrarono, con moto quasi istintivo manovrammo entrambi accortamente per avvicinarci l’uno all’altro. Riuscimmo appena a toccarci furtivamente le mani, giacché la severissima vigilanza dei nostri aguzzini tendeva a rendere impossibile ogni scambio di parole e di segni fra detenuti. Vidi gli occhi amichevoli di Buozzi brillare di gioia nel vedermi: ero la prima persona conosciuta e amica che incontrava in quella triste prigione, nello stato di angoscia in cui lo aveva gettato l’arresto.
'Per me non m’importa nulla', mi disse subito: 'mi preoccupa il grande dolore di mia moglie e della mia bambina, poveretti!'.
Un urlo da belva emesso da uno dei nostri guardiani, che aveva sentito il bisbiglio di quelle poche parole, troncò sull’inizio la nostra conversazione. Tuttavia riuscimmo a rimanere nello stesso gruppo di dieci e a marciare l’uno dopo l’altro nella corvée. Mentre salivamo uno scalone, curvi sotto il carico del pane, riuscii a dire a Buozzi parole di conforto per la sua famiglia e cercai di sapere le cause del suo arresto. Buozzi mi disse che la Gestapo hitleriana, ignara della sua vera personalità, voleva sapere da lui i motivi del suo arresto, dato ch’egli era stato arrestato su richiesta del governo fascista italiano, per essere trasferito in Italia, a disposizione di Mussolini. Bruno Buozzi aveva appena completato la frase, che uno dei nostri guardiani, con uno spintone improvviso a Buozzi - che mi precedeva - ci sbatté a terra entrambi, facendoci ruzzolare sulle scale, col nostro carico di pane, coprendoci d’improperi e di minacce. Fummo subito separati e riportati ognuno nella propria cella, col rimpianto di non aver potuto continuare il discorso e con le narici inondate dalla fragranza di quel pane fresco, che la fame ci faceva sognare ogni notte!
Da quel momento, però, con la tecnica nota ai vecchi carcerati politici, riuscii a stabilire collegamenti quasi regolari con Buozzi mediante lo scambio di biglietti, con i quali ci mandavamo notizie e pensieri e qualche cibaria. Dopo alcuni giorni riuscimmo sovente a prendere l’ora d’aria quotidiana nello stesso cortile, dove la possibilità e la volontà dei detenuti di conversare fra loro sono più forti della più occhiuta vigilanza. Tutte le nostre conversazioni, partendo dal presupposto comune dell’assoluta necessità dell’unità sindacale, nazionale e internazionale, e dall’esigenza imperiosa dell’unità d’azione fra i due partiti, comunista e socialista - quale base fondamentale d’unità della classe operaia - rafforzavano continuamente il nostro accordo sulle questioni di maggiore interesse, relative alla riorganizzazione del movimento operaio italiano e alla ricostituzione democratica dell’Italia.
“Nessun lavoratore italiano che abbia conosciuto Bruno Buozzi - dirà ancora Di Vittorio ricordando l’amico - potrebbe ricordare il suo martirio senza sentirne un profondo dolore. Bruno Buozzi è stato uno dei dirigenti sindacali fra i più amati dal proletariato, perché Egli fu il tipo più completo dell’organizzatore che abbia prodotto il movimento operaio italiano”.
Operaio, Buozzi “ha amato gli operai e ne ha servito la causa con passione ardente, temperata da un senso elevato e impareggiabile di equilibrio. Bruno Buozzi non è mai stato un professionista dell’organizzazione. Egli è stato l’operaio che lotta per l’elevazione dei propri compagni di lavoro, per l’emancipazione della propria classe, e che nel corso di questa lotta è sempre più apprezzato dalla massa in cui lavora ed è da essa direttamente eletto a proprio capo ed elevato fino alla più alta carica della grande organizzazione dei lavoratori italiani, alla quale la sua forte personalità impresse un più alto prestigio. Gli assassini nazisti e fascisti comprendevano quale valore rappresentasse per il proletariato italiano Bruno Buozzi e perciò lo massacrarono vilmente. Bruno Buozzi è morto per mano dei nemici del proletariato e del popolo. Egli vive e vivrà sempre nel cuore dei lavoratori italiani. Egli vive nella nostra unità sindacale e nella nostra grande Confederazione, e ne continuerà ad ispirare la lotta quotidiana in difesa dei lavoratori per i quali visse e morì”.