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L’11 marzo 1978, dopo una lunga crisi di governo durata quasi due mesi, Giulio Andreotti forma il suo quarto esecutivo monocolore Dc sostenuto anche da comunisti, socialisti, socialdemocratici e repubblicani.
Cinque giorni più tardi, il 16 marzo, le due Camere vengono convocate per discutere e votare la fiducia. Quella mattina in via Fani, a Roma, un commando delle Brigate rosse rapisce Aldo Moro - presidente della Dc e principale sostenitore dell’intesa - e uccide i cinque uomini della sua scorta: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.
Il primo organo d’informazione a dare la notizia è l’edizione straordinaria del giornale radio di Radio2 con l’inconfondibile voce di Gustavo Selva che alle 9 e 25 afferma con tono commosso: “Abbiamo ricevuto ora una drammatica notizia che ha dell’incredibile e che, anche se non ha trovato finora una conferma ufficiale, purtroppo sembra vera: il presidente della Democrazia cristiana, on. Aldo Moro, è stato rapito poco fa a Roma da un commando di terroristi. L’inaudito, ripetiamo, incredibile episodio è avvenuto davanti all’abitazione del parlamentare nella zona della Camilluccia”.
L’agenzia Ansa decide di sospendere lo sciopero proclamato per 24 ore e riprendere le trasmissioni. Poco dopo le dieci di mattina una telefonata anonima giunge al centralino dell’agenzia a Roma. Il messaggio comunicato dallo sconosciuto riferisce che le Brigate Rosse hanno “sequestrato il presidente della Democrazia cristiana, Moro, ed eliminato le sue guardie del corpo, teste di cuoio di Cossiga”.
L’agenzia trasmette alle ore dieci e sedici il comunicato dei brigatisti. Due minuti prima un’altra telefonata anonima aveva comunicato alla redazione milanese che le Brigate Rosse avevano “Portato l’attacco al cuore dello Stato”. “Per l’onorevole Moro - aggiungeva l’anonima voce - è solo l’inizio”.
Bruno Vespa apre l’edizione straordinaria del Tg1 dando lettura del comunicato brigatista all’agenzia Ansa a Roma. Pochi minuti dopo Paolo Frajese in collegamento da via Fani dà una prima drammatica descrizione del luogo dell’agguato con le devastanti immagini in diretta della scena della strage. La voce del giornalista, spesso rotta dall’emozione ed esitante, descrive la scena di un vero e proprio atto di guerra.
Grandi manifestazioni hanno luogo a Bologna, Milano, Napoli, Firenze, Perugia e Roma, dove 200.000 persone si raccolgono in Piazza San Giovanni.
“Io credo, campagne e compagni - dirà un evidentemente preoccupato Luciano Lama dal palco - che nelle grandi prove, nei momenti decisivi come questo si misurano in effetti le qualità vere, migliori di una classe, di una popolazione, di una nazione. Sul mondo del lavoro unito incombe un compito importante nella difesa dei valori essenziali della libertà, della democrazia, della civiltà nostra; (…) dobbiamo sentire che l’intesa, l’unità fra di noi è una delle garanzie vere, delle possibilità della democrazia, della libertà di trovare nel nostro popolo la sua difesa essenziale. Dimostriamo in questo momento difficile, in questo momento tragico della vita del paese di essere all’altezza di questo grave compito”.
“Dalle notizie che ci giungono di ora in ora da ogni parte d’Italia - riferirà in Aula Enrico Berlinguer - già appare che i cittadini ed i lavoratori hanno prontamente risposto con altissima maturità politica e civile alla nuova provocazione del terrorismo, sospendendo il lavoro, svuotando le fabbriche, confluendo nelle piazze, raccogliendosi attorno ai partiti antifascisti, ai sindacati unitari, alle associazioni democratiche della Resistenza. E’ un vero e proprio sussulto quello che sembra scuotere in questo momento l’intera comunità nazionale ed è un quadro nel quale ci sono Torino e Napoli, Milano e Roma, le regioni del nord e quelle del sud, gli operai, gli impiegati, gli studenti, gli insegnanti, ogni ceto sociale, a dimostrazione di quanto grandi, varie e possenti siano le forze pronte a schierarsi concordi nella difesa di quelle istituzioni democratiche che sono il fondamento ed il bene supremo della nostra comunità”.
“Se i criminali che hanno ideato e attuato il tragico agguato calcolavano di impaurire e dividere gli italiani - scriveva il giorno successivo l’Unità - di creare uno stato di smarrimento e di confusione, così da scavare un solco tra le masse e le istituzioni democratiche, ebbene si sono sbagliati. (…) L’Italia è davvero un paese straordinario. (…) L’immagine che l’Italia, la classe operaia, le grandi masse lavoratrici, i giovani, gli studenti, e tutto il popolo hanno offerto nella giornata di ieri è - lo diciamo senza retorica - una immagine che trova riscontri soltanto in altre ore gravi della nostra storia recente, quelle nelle quali la coscienza popolare ha saputo reagire alle sfide reazionarie spontaneamente, d’istinto, prima ancora che le giungesse l’appello dei sindacati e dei partiti. C’era qualcosa che ricordava il 14 luglio del 1948, l’attentato a Togliatti. Da Torino a Roma, da Napoli a Palermo si accavallano al giornale le telefonate. La radio ha appena finito di trasmettere la notizia della imboscata mortale alla scorta e del rapimento dell’on. Moro, e già i primi cortei si formano, escono dai grandi stabilimenti, dilagano nelle strade e nelle piazze”.
Dopo una prigionia di 55 giorni il corpo di Aldo Moro viene ritrovato il 9 maggio a Roma in via Caetani, emblematicamente vicina sia a Piazza del Gesù che a via delle Botteghe Oscure, a due passi dalle sedi storiche - rispettivamente - della Dc e del Pci.
“La lotta contro il terrorismo non finisce oggi - dirà ancora da Piazza San Giovanni sempre Luciano Lama - anche se il miglioramento dell’efficienza dell’apparato dello Stato dovrà rendere più spedita l’azione contro le forze eversive. Ma se il paese rinserrerà le sue file, se il destino d’Italia sarà preso nelle proprie mani da ogni lavoratore, l’esito finale di questa dura prova è sicuro: le Brigate Rosse potranno ancora distruggere e uccidere, la loro barbarie inumana potrà farci ancora soffrire, ma essi non prevarranno”.