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La denuncia di Guido Rossa porta al processo di Francesco Berardi, brigatista infiltrato alla Italsider. Il procedimento si apre il 30 ottobre del 1978. Tre mesi dopo il delegato sindacale viene trucidato dalle Br. Guido Rossa nasce a Cesiomaggiore, in provincia di Belluno, il 1° dicembre del 1934. Poco più di un anno e mezzo dopo la sua famiglia si trasferisce a Torino.
Giuseppe Rossa trova un impiego come custode in una fabbrica di cuscinetti a sfera, la stessa nella quale Guido comincerà a lavorare appena compiuti i 14 anni: è qui che conosce un operaio anziano attivo nel movimento sindacale e appassionato alpinista dal quale mutuerà l’una e l’altra passione. Proprio in montagna Guido conosce una ragazza genovese, Silvia, che diventerà la compagna della sua vita. Esigenze di lavoro tengono i due giovani sposi separati, lei a Genova, lui a Torino, fino luglio del 1961, quando Guido trova lavoro nel capoluogo ligure e si trasferisce definitivamente entrando all’Oscar Sinigaglia di Cornigliano, nel reparto Officina centrale.
Nel novembre del 1967 Guido si iscrive al Pci, alla sezione Italsider. La stima che lo circonda nel suo reparto fa sì che nel 1970 venga eletto, quasi all’unanimità, delegato sindacale. “Sono un delegato dell’Officina centrale - diceva nel suo primo intervento al Consiglio di fabbrica - prendo la parola per la prima volta a questo microfono perché alle parole ho sempre preferito l’azione”.
Scriveva quell’anno all’amico Ottavio Bastrenta: “Caro Ottavio, l’indifferenza, il qualunquismo e l’ambizione che dominano nell’ambiente alpinistico in genere, ma soprattutto in quello genovese, sono tra le squallide cose che mi lasciano scendere senza rimpianto la famosa lizza della mia stazione alpina. Da parecchi anni ormai mi ritrovo sempre più spesso a predicare agli amici, l’assoluta necessità di trovare un valido interesse nell’esistenza, che si contrapponga a quello quasi inutile (e non nascondiamocelo, forse anche a noi stessi) dell’andar sui sassi. Che ci liberi dal vizio di quella droga che da troppi anni ci fa sognare e credere semidei o superuomini chiusi nel nostro solidale egoismo, unici abitanti di un pianeta senza problemi sociali, fatto di lisce e sterili pareti sulle quali possiamo misurare il nostro orgoglio virile, il nostro coraggio, per poi raggiungere (meritato) un paradiso di vette pulite, perfette e scintillanti di netta concezione tolemaica, dove per un attimo o per sempre, possiamo dimenticare di essere gli abitati di un mondo colmo di soprusi e di ingiustizie, di un mondo dove un abitante su tre vive in uno stato di fame cronica, due su tre sono sottoalimentati e dove su sessanta milioni di morti all’anno, quaranta muoiono di fame! Per questo penso, anche noi dobbiamo finalmente scendere giù in mezzo agli uomini a lottare con loro, allargando fra tutti gli uomini la nostra solidarietà che porti al raggiungimento di una maggiore giustizia sociale, che lasci una traccia, un segno, tra gli uomini di tutti i giorni e ci aiuti a rendere valida l’esistenza nostra e dei nostri figli. (…) Da poco mi hanno eletto con regolari votazioni delegato di reparto. Inizia qui e probabilmente finisce la mia carriera di sindacalista. Avrei voluto rimanerne fuori, ma mi hanno messo alle strette, dicono che parlarne solo non basta! E fin dal primo giorno sono partito all’attacco, tanto per tre o quattro anni non potranno buttarmi fuori”.
Esattamente 9 anni dopo Guido sarà ucciso, colpevole - agli occhi dei terroristi - di aver denunciato un compagno di lavoro sorpreso a distribuire documenti delle Br all’interno della fabbrica. Le istituzioni decidono per lui i funerali di Stato che si svolgono in piazza De Ferrari il 27 gennaio. Il corteo è imponente e parte direttamente dall’Italsider di Cornigliano. In piazza De Ferrari sfilano in 250 mila insieme a Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica.
A dispetto del cerimoniale, Pertini spinge per incontrare i camalli del porto. “Il prefetto - racconterà Antonio Ghirelli, ex portavoce del Quirinale - glielo sconsigliò, perché, disse, c’era simpatia per le Br. Ma Pertini insistette fino a che non lo accompagnarono al porto. Entrò in un grosso container, con le gigantografie di Lenin e Togliatti alle pareti. E, nonostante i suoi ottantadue anni, scattò sulla pedana e in mezzo a un pesantissimo silenzio, urlò a centinaia di portuali: 'Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai'.”.
“Sai qual è la differenza tra noi e le Br? - reciterà un anonimo, bellissimo biglietto di un operaio a lui dedicato - Noi con le nostre lotte tendiamo ad estrarre i meglio che c’è nell’uomo. Loro il peggio. Noi la solidarietà tra gli uomini, loro l’omicidio. Quando si aspetta un operaio sotto casa e gli si spara alla spalle si è fascisti, non ho altro da aggiungere”.