Sono i garanti territoriali dei detenuti a bocciare il provvedimento in materia carceraria varato dal governo, lanciando un appello al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, affinché ascolti quanto hanno da dire sulla situazione degli istituti penitenziari, con suicidi e rivolte di detenuti che si succedono quasi quotidianamente. I garanti parlano di "un decreto minimale, inadeguato, vuoto rispetto alle proporzioni dell'emergenza carceri. È una scatola vuota. Solo le telefonate aumentano da 4 a 6. Una miseria".

Un dramma sottovalutato

"Chiediamo alla politica di analizzare, prevenire, intervenire. Il carcere è diventato un ospizio dei poveri e una discarica sociale", ha affermato il portavoce della Conferenza nazionale dei garanti territoriali, Samuele Ciambriello, in conferenza stampa al Senato: "Chiediamo a nome degli 86 garanti in tutta Italia, di andare nelle carceri a vedere con i propri occhi". "C'è una sottovalutazione – ha proseguito – sia sul peggioramento delle condizioni nelle carceri sia sul sovraffollamento, sul numero dei suicidi delle persone che potrebbero andare in misura alternativa perché devono scontare meno di un anno e non hanno nessun reato ostativo". 

L’emergenza e i problemi strutturali

Ad Alessio Scandurra dell’associazione Antigone chiediamo se c’è un’attenzione in generale troppo bassa sulla situazione carceraria in Italia. Ci risponde ricordando che “siamo sempre un po' schiacciati tra un'emergenza che, in quanto tale, richiederebbe risposte straordinarie, particolarmente energiche, che la politica spesso, in particolare questo governo, non se la sente di dare per la paura che abbia un costo in termini di consenso e perché banalmente non interessano a nessuno. L'emergenza è figlia della contingenza del periodo, ma soprattutto di problemi strutturali”.

"Ora – prosegue – c'è un'emergenza in corso e quindi si risponde in modo emergenziale, cercando di far precipitare rapidamente i numeri e di contenere gli ingressi. In realtà da questo punto di vista sono state adottate norme che gli ingressi li fanno aumentare, non diminuire, e quindi l'emergenza si fa sempre più tragica. È una situazione abbastanza scoraggiante, perché non si sente discutere neanche in teoria di soluzioni in grado di affrontare il problema”.

I suicidi, e quello che c’è sotto

Se si pensa all’elevato numero di suicidi in carcere, che hanno raggiunto il numero di 59 tra i detenuti in meno di sette mesi e 6 tra il personale carcerario, si può supporre che manchi il lavoro di prevenzione e di cura di chi ha profonde fragilità. Per Scandurra “i suicidi sono la punta dell'iceberg del livello di malessere, di sofferenza e dell’incapacità di dare risposte. Se si adottassero protocolli efficaci per intercettare i casi più drammatici e prevenire i suicidi, avremmo numeri di più bassi, ma il livello di malessere che riguarda decine di migliaia di persone resterebbe uguale. Per una persona che si toglie la vita e arriva sui giornali ce ne sono magari altre 500 che sono nella stessa identica situazione e non fanno quel gesto”.

L’estate peggiora tutto 

La stagione estiva poi peggiora le cose. “Il caldo, nelle situazioni di disagio mentale, aumenta le acuzie – dice il coordinatore dell’osservatorio sulle condizioni di detenzione degli adulti di Antigone -, perché le persone non dormono, c’è una rottura di tutte le routine che aiutano a mantenere un equilibrio. Tanti istituti non hanno nemmeno la facilità di aprire le finestre perché ci sono i letti a castello accatastati e a volte, oltre alle sbarre, ci sono le grate che impediscono la circolazione dell’aria. Il caldo e l'estate sono sempre un problema per il benessere psicofisico delle persone e in una comunità di detenuti, dove i livelli di sofferenza sono lontani dalla media nazionale, questi effetti diventano esplosivi”.

Inoltre durante l’estate si interrompono le attività di istruzione e formazione professionale e una parte del personale carcerario va in ferie. “Questo vuol dire che anche il periodo di sofferenza diventa un periodo lungo, con i danni che ne conseguono –  afferma Scandurra -. Senza le attività è anche più difficile accorgersi di chi a un certo punto rimane tutto il giorno chiuso in cella, sulla branda, dei cali di umore e di comportamenti anomali. Le situazioni di criticità sfuggono”.

“Chi può, in estate, prende i permessi per stare con la famiglia –  prosegue Scandurra -, ma chi non può si trova in uno stato di particolare solitudine, di isolamento, di frustrazione. Gli elementi psicologici pesano molto: chi è recluso è in una situazione di crisi e sa che nessuno se ne sta facendo carico e che la situazione di domani sarà peggio di quella di oggi. Anche per chi lavora nelle carceri venire a contatto con i suicidi o con situazioni di così profondo disagio ha un effetto deprimente”.

La paura paralizzante di essere troppo buoni

L'unica soluzione è proprio quella di andare ad agire in maniera strutturale. Per Scandurra è evidente che questo governo non ha intenzione di farlo e l’ultimo provvedimento ne è la dimostrazione: “Si sa che la soluzione passa dalla liberazione anticipata, ma nonostante ciò le misure adottate non sono adeguate a ottenere il risultato. In Parlamento c’era un disegno di legge per aumentare i giorni di liberazione anticipata in maniera significativa e lì è rimasto.

Un'altra cosa che si poteva fare a costo zero era allargare significativamente le possibilità di comunicazione con l'esterno, c’è invece stato un innalzamento abbastanza ridicolo delle telefonate che sono consentite alle persone detenute ed è stata lasciata la soglia di durata di 10 minuti che è un po' bizzarra. Di nuovo – conclude – è stato fatto un provvedimento senza una vera ratio come presupposto, ma sempre con la paura di risultare troppo generosi e troppo buonisti con i detenuti”.