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Non fate troppo rumore, mi raccomando. Non sventolate troppe bandiere, non cantate troppo forte. Quest’anno il 25 aprile va celebrato “con sobrietà”, parola di Nello Musumeci, ministro che – quando si tratta di trovare una scusa per ridimensionare la Liberazione – non si nega mai una pennellata d’inventiva.
Questa volta l’alibi è di quelli solenni: cinque giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Francesco. E chi osa eccepire? Nessuno, ovviamente. Il Pontefice merita tutto il rispetto possibile. Ma ecco il punto: proprio il pontefice non avrebbe mai chiesto di mettere il silenziatore alla memoria antifascista.
E invece eccoci qui, ancora una volta: il 25 aprile va festeggiato in punta di piedi, come si entra in una stanza dove dorme il potere. Il copione è noto: ogni anno una scusa nuova, ma la trama è sempre la stessa. Questa data dà fastidio. È un giorno che puzza di resistenza, di scelta, di memoria non addomesticata. E quindi va moderato, sterilizzato, ridotto a cerimonia con palchetto e cravatta, possibilmente sotto la pioggia e con l’inno nazionale suonato in minore.
Sobrietà. Che bel modo per dire: “Fate finta, ma non credeteci troppo”. La stessa sobrietà che non è mai richiesta per le sagre del sovranismo, per le marce militarizzate del patriottismo a gettone o per i comizi in cui si grida al tradimento della patria ogni due per tre. Là, tutto va bene. Ma quando si tratta di ricordare chi ha combattuto davvero per questa Repubblica, allora calma, eh. Tono basso. Non sia mai che qualcuno si emozioni.
E poi c’è l’ironia finale, che grida vendetta più di un coro stonato di “Bella Ciao”: usare Papa Francesco – uno che ha difeso migranti, parlato di giustizia sociale e attaccato l’ipocrisia del potere – come pretesto per silenziare proprio la festa della Liberazione. Un capolavoro di capovolgimento semantico, roba da manuale Orwell rivisto da un social media manager con l’orticaria per la democrazia.
Noi però, anche stavolta, ci saremo. Per ricordare che la libertà non è mai stata sobria. È stata urlata, rischiata, scomposta, disobbediente. Come chi ha scelto di salire in montagna e non di voltarsi dall’altra parte. Perciò il 25 aprile lo celebriamo nella maniera di sempre. Con rispetto per chi è morto, certo, ma anche con gioia per chi ha fatto rinascere questo Paese. Perché se oggi possiamo anche solo permetterci di parlare di sobrietà è grazie a chi, ottant’anni fa, non fu sobrio per niente.