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L’Italia ha il primato negativo in Europa per il numero di ragazzi che non completano il ciclo obbligatorio dell'Istruzione. Come è noto – anche se frequentemente lo si dimentica – nel nostro Paese bisogna frequentare la scuola fino a 16 anni di età, fino al biennio della scuola secondaria superiore, ed è soprattutto in questi due anni che si registrano i maggiori tassi di abbandono con il risultato di avere tantissimi ragazzi che hanno soltanto la licenza media e neanche una qualifica professionale, né tantomeno un diploma. Sono gli stessi ragazzi che ritroviamo tra i numeri dei Neet, coloro che non studiano, non lavorano e nemmeno sono impegnati nella formazione, un fenomeno particolarmente importante in Italia, ancor più che in altri Paesi europei e dell’area mediterranea.
L’alto tasso di dispersione scolastica ha le radici in diversi fattori e tutti gli studi ci dicono che si ha minori possibilità di insuccesso formativo e scolastico e quindi di rischio di dispersione se si frequenta la scuola dell'infanzia, che nel nostro Paese non è obbligatoria e vede la frequenza del 92% circa dei bambini dai 3 ai 6 anni benché in maniera disomogenea sul territorio. Al Sud, come nelle periferie metropolitane, o nelle aree interne della Penisola è spesso impossibile godere del tempo pieno, un tema che si collega alla crescente povertà educativa.
Lo svantaggio poi inizia ancor prima dei 3 anni, perché, come noto, la possibilità di accedere ai nidi varia molto a seconda delle regioni e dei territori, con aree del Paese che garantiscono questa offerta educativa a meno di 10 bambini su 100. Non è un caso che i numeri della dispersione scolastica aumentino proprio in quelle aree dove non ci sono nidi e non c’è il tempo pieno nella scuola dell’infanzia.
La dispersione scolastica nel biennio della scuola secondaria superiore è anche legata ai comportamenti diffusi che tendono a orientare i cosiddetti studenti ‘meno bravi’ verso i canali formativi più professionalizzanti e quelli ‘più dotati’ verso i licei, contribuendo a effetti di segregazione formativa, con scuole di serie A e scuole di serie B. Occorrerebbe potenziare e diversificare l’offerta formativa del ciclo secondario superiore, puntando a offrire qualità ed efficaci obiettivi di apprendimento a tutti i ragazzi e le ragazze, a partire dalle loro diverse motivazioni, aspettative e capacità.
Questa è la situazione pre-Covid. Ora ci sono fattori aggravanti. Con l’interruzione della didattica in presenza nell’anno scolastico 2019-2020 gli studenti di ogni età rischiano di accumulare nei loro percorsi educativi e formativi un learning loss difficilmente colmabile. Secondo alcune stime, con il lockdown vi è stata una perdita di quasi 75 milioni di ore di lezione, solo in parte (10-15 milioni) recuperate tramite la didattica a distanza, la quale si scontra però con i ritardi storici presenti nel nostro Paese. Ecco perché come Cgil abbiamo presentato una piattaforma, in cui si prevedevano anche azioni di recupero degli apprendimenti durante il periodo estivo.
La scuola è invece ripartita (dove si è riusciti a farla ripartire) senza recuperare il gap accumulato. Un gap rilevante soprattutto per quei bambini e ragazzi che non hanno avuto famiglie alle spalle in grado di seguirli durante il lockdown e che rischia di aumentare se, come possibile, assisteremo all’alternarsi di fasi di apertura e chiusure delle scuole a causa della persistente pandemia. Ancora una volta il nostro Paese non sta tutelando i bambini più fragili e c’è quindi da chiedersi quali potranno essere i numeri della dispersione scolastica quando questa generazione arriverà al termine del primo biennio superiore, con un’area di povertà educativa che si sta sempre più allargando.
Il quadro generale nel quale si inseriscono le difficoltà nella ripresa delle lezioni in questa fase della pandemia e la paura del contagio stanno inoltre contribuendo a fare nascere in alcune famiglie la tentazione di ripiegare sull’istruzione parentale. Credo che i processi storici abbiano evidenziato che la presa in carico educativa di un minore non possa essere affidata alla sola famiglia: sono tanti gli attori che concorrono all’educazione e tra questi la principale agenzia educativa pubblica è proprio la scuola, non solamente come luogo di apprendimento, ma come spazio di costruzione dell’identità insieme agli altri, di socializzazione, di riconoscimento delle differenze e di sé non solo come ‘figlio’. Abbiamo sofferto per l'assenza di scuola e ora vediamo bambine e bambini felici ed emozionati di rivedersi e rivedere i propri insegnanti, perché la scuola è imparare insieme agli altri soprattutto le emozioni e il valore della socialità.
Da anni in Italia, oltre al taglio degli investimenti, è assente un’idea di scuola, la capacità di mettere in campo un rinnovato impegno delle istituzioni pubbliche nel ripensare indirizzi strategici, percorsi, modelli pedagogici, modalità didattiche, valutazioni in funzione dei bisogni dei suoi cittadini più giovani. L’auspicio è che l’ingente quota di denaro che arriverà con l’accesso dell’Italia al Recovery plan serva a costituire la base per fare finalmente investimenti a medio e lungo termine basati su una scuola che non lascia indietro nessuno.
Anna Teselli, Cgil nazionale