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È una giurista impegnata nell’attuazione dei valori e dello spirito della Costituzione, a cominciare dalla partecipazione democratica che definisce la cittadinanza. Anna Falcone è anche autrice di numerose pubblicazioni in materia di diritti fondamentali, partecipazione politica, pari opportunità, biodiritto e diritto dell’ambiente, ricerche e pubblicazioni svolte nella prospettiva costituzionalistica. È impegnata in varie associazioni giuridiche e per la tutela dei diritti umani e attiva sostenitrice di campagne di partecipazione democratica, per la tutela di diritti civili e sociali.
Sostiene che i referendum della Cgil siano anche uno strumento per la piena attuazione della Carta del ‘48, perché un lavoro pienamente sicuro e tutelato è precondizione di dignità, libertà e piena partecipazione di cittadini e lavoratori alle scelte e alla vita pubblica.
La nostra, a partire dall’articolo 1 ma non solo, è una Costituzione che mette al centro il lavoro e la persona. I quattro quesiti referendari proposti dalla Cgil sono coerenti con il dettato della Carta?
Non solo sono coerenti, ma mirano alla piena attuazione della Carta costituzionale in uno dei più importanti diritti fondamentali: quello al lavoro, così come delineato e garantito nella nostra Costituzione e mai pienamente attuato. Un lavoro pienamente sicuro e tutelato è infatti precondizione di dignità, libertà e piena partecipazione di cittadini e lavoratori alle scelte e alla vita pubblica, quindi per una democrazia pienamente attuata.
Ha senso nell’Italia del 2024 utilizzare lo strumento referendario?
È un dovere, visto il restringimento degli spazi democratici e di partecipazione. Uno strumento importante per riprendersi quella sovranità che si è cercato di scippare progressivamente con l’attacco ai corpi intermedi, come i sindacati. E con le leggi elettorali dei “nominati” che hanno minato l’autonomia e l’autorevolezza del Parlamento, mettendo nelle mani di pochi la composizione dell’organo centrale e più importante della nostra democrazia. La logica è chiara: obbedire e rendere conto al capo, non al popolo. Che meno partecipa e meglio è.
Democrazia diretta, democrazia partecipata: in che relazione sono con la proposta di premierato targata Meloni e Casellati
In netta opposizione. La crescita dell’astensionismo è il segnale più netto della crisi democratica in atto ormai da tempo. Sempre più elettori non votano perché, molto spesso, non si riconoscono in una classe politica “nominata” dall’alto e perché ritengono che il loro voto non incida in un gioco di potere in cui tutto è già deciso. I cittadini chiedono di contare, chiedono più partecipazione, ovvero un salto di qualità da una democrazia ormai meramente rappresentativa a una democrazia pienamente partecipativa. Loro rispondono con la concentrazione del potere nelle mani di una persona sola (premierato), con la frantumazione del Paese autonomia differenziata) e l’assoggettamento della magistratura inquirente al potere esecutivo (non per garantismo, ma perché nessuno disturbi il manovratore). È un disegno a formazione progressiva che mira a sgretolare diritti e garanzie. Per quanto riguarda il premierato, eleggere il capo non da più diritti ma ne toglie, visto il corrispondente ulteriore schiacciamento dell’autonomia del Parlamento e delle prerogative del Presidente della Repubblica. Se è così importante scegliere, perché non ci consentono di scegliere, fin dalle candidature, i nostri rappresentanti alle Camere, invece che un capo assoluto?
Torniamo ai quesiti della Cgil: perché firmare oggi e votare poi al momento della chiamata alle urne?
È il procedimento previsto dalla legge per il referendum popolare. La raccolta delle firme (500.000) è propedeutica alla presentazione dei quesiti e alla loro ammissibilità, su cui decide la Corte costituzionale. Questa prima fase è fondamentale, inoltre, per far conoscere i quesiti alla cittadinanza tutta e sollevare un adeguato dibattito pubblico sul tema. In un momento in cui la libertà d’informazione in Italia è scivolata al 46° posto nelle classifiche mondiali, un aspetto di non poco conto. Un passaggio, anche questo, centrale di democrazia partecipata.
L’incognita quorum, come raggiungerlo?
Con una mobilitazione intergenerazionale, che metta insieme studenti, giovani e meno giovani in una grande prova di democrazia. Non si tratta di mobilitare solo il mondo del lavoro (e soprattutto di chi non lavora o è sfruttato), ma anche le organizzazioni da tempo mobilitate per la piena attuazione della Costituzione e di atri diritti, come salute e istruzione che pure hanno subito drastici tagli. E le università, che vivono una stagione di rinnovato impegno politico per costruire una società più giusta e più uguale.
Infine precarietà: quanto quella nel lavoro influisce sugli assetti sociali e istituzionali?
Drammaticamente: un lavoratore precario è un cittadino fragile nel suo presente ed espropriato del suo futuro. Più che un cittadino, un suddito, a cui è chiesto di obbedire e piegare la testa se vuole sopravvivere. Peccato che la nostra Costituzione sia stata scritta proprio perché nessuno fosse mai più suddito, ma donna e uomo libero e uguale in dignità e diritti. Non è un caso che l’articolo 3, secondo comma della Costituzione parli di effettiva partecipazione di tutti i “lavoratori” alla vita pubblica: mira a sottolineare proprio la condizione di autonomia e libertà che solo il lavoro può garantire a tutti, come strumento di emancipazione, realizzazione e quindi partecipazione consapevole alle scelte democratiche. Proprio per questo si ribadisce, sempre in questa norma cardine della Carta, come sia compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Si tratta di un’azione politica che, da una parte, spinge verso l’aumento delle diseguaglianze, tagliando sempre di più su diritti, sicurezza e libertà dei cittadini; all’altra promuove riforme istituzionali come premierato e autonomia differenziata mirate strutturare diseguaglianze e verticalizzazione del potere. Un’azione che si pone di fatto fuori da questo orizzonte costituzionale il quale, al contrario, dovrebbe indirizzare ogni governo democratico e di qualsiasi colore politico. Si tratta di principi fondamentali della nostra Costituzione che, insieme alla forma repubblicana – ovvero alla effettività della sovranità popolare, alla separazione dei poteri, al pluralismo democratico e alla centralità e autonomia del Parlamento -, non possono essere messi in discussione, e non possono essere oggetto di revisioni striscianti e vietate dalla Carta (articolo 139).