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Il 25 gennaio del 1979 l’Unità scriveva:
A Genova i killer delle Brigate Rosse hanno ammazzato un comunista, un operaio. E tutta la città si è bloccata, si è riversata in piazza. Poche parole bastano a definire questo crimine nella sua essenza. Le pronuncia, di fronte a quella folla tesa e silenziosa, l’operaio Paolo Perugino: "Hanno colpito chi ha combattuto fino in fondo la sua battaglia di militante comunista. Chi lo ha colpito sono le iene di sempre, quelli che dal ‘21 hanno un unico obiettivo: colpire la classe operaia e le sue organizzazioni".
C’è davvero tutto in questa frase: chi è la vittima e chi sono i suoi assassini, il perché di questo omicidio infame. Si chiamava Guido Rossa il compagno caduto. Aveva 44 anni, era sposato ed aveva una figlia di 16 anni, Sabina. Dal 1960 lavorava all’Italsider e da otto anni era membro del consiglio di fabbrica. Era arrivato a Genova da Torino dove aveva lavorato alla Fiat negli anni duri di Valletta.
Da quanto era iscritto al Partito comunista? Da sempre, rispondono i suoi compagni di lavoro. Nessuno riesce a ricordarlo senza tessera in tasca. Nessuno lo rammenta disimpegnato, indifferente ai problemi della politica o a quelli quotidiani della lotta in fabbrica. Da sempre comunista. Da sempre dalla stessa parte della barricata. Le "iene" lo hanno atteso vicino a casa, gli hanno spirato alle spalle. Rossa è uscito di casa alle 6.40. Come tutte le mattine. (…) I killer lo hanno sorpreso mentre, già sull’auto, si stava spostando verso il volante.
Sei colpi attraverso il finestrino, mentre volgeva la schiena. Non ha avuto neppure il tempo di vedere in faccia i suoi assassini. Nessuno per quasi un’ora si è accorto della sua morte. Rossa è rimasto accasciato in auto fino alle 7.30 quando due netturbini, passando per via Fracchia hanno scorto il suo corpo crivellato. Molti, in quelle prime ore del mattino, avevano attraversato quella strada stretta senza notare nulla, senza capire che quell’auto col vetro laterale infranto racchiudeva il cadavere di un uomo.
“La cieca ferocia eversiva ha colpito in Guido Rossa un onesto lavoratore ed un leale cittadino - è il messaggio ufficiale del presidente della Repubblica Sandro Pertini - A voi, membri del consiglio di fabbrica, ed ai lavoratori tutti dell’Italsider esprimo la mia fraterna solidarietà ed il mio fermo impegno personale. L’unità di tutti coloro che credono nella democrazia saprà prevalere su ogni bieca logica di violenza”. In quei giorni a Genova, a dispetto del cerimoniale, il presidente spinge per incontrare i camalli del porto.
L'incontro tra Sandro Pertini e i camalli
“Il prefetto - racconterà Antonio Ghirelli, ex portavoce del Quirinale - glielo sconsigliò, perché, disse, c’era simpatia per le Br. Ma Pertini insistette fino a che non lo accompagnarono al porto. Entrò in un grosso container, con le gigantografie di Lenin e Togliatti alle pareti. E, nonostante i suoi ottantadue anni, scattò sulla pedana e in mezzo a un pesantissimo silenzio, urlò a centinaia di portuali: 'Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai”.
L'impegno politico di Guido Rossa
Nel novembre del 1967 Guido si iscrive al Pci, alla sezione Italsider. La stima che lo circonda nel suo reparto fa sì che nel 1970 venga eletto, quasi all’unanimità, delegato sindacale. “Sono un delegato dell’Officina centrale - diceva nel suo primo intervento al Consiglio di fabbrica - prendo la parola per la prima volta a questo microfono perché alle parole ho sempre preferito l’azione”.
“Da poco mi hanno eletto con regolari votazioni delegato di reparto - scriveva comunicando la notizia all’amico Ottavio Bastrenta - Inizia qui e probabilmente finisce la mia carriera di sindacalista. Avrei voluto rimanerne fuori, ma mi hanno messo alle strette, dicono che parlarne solo non basta! E fin dal primo giorno sono partito all’attacco, tanto per tre o quattro anni non potranno buttarmi fuori”. Esattamente nove anni dopo Guido Rossa sarà ucciso, colpevole - agli occhi dei terroristi - di aver denunciato un compagno di lavoro sorpreso a distribuire documenti delle Br all’interno della fabbrica.
No ai terroristi in fabbrica: la denuncia di Guido Rossa
“Verso le 8,30 odierne - dichiarava Guido Rossa il 25 ottobre 1978 - mi trovavo presso l’officina centrale del suddetto centro siderurgico. Alcuni operai di questo reparto mi hanno portato un opuscolo delle Brigate Rosse e mi hanno detto di averlo trovato nella cabina della macchina del caffè. Ho preso l’opuscolo e mi sono recato presso l’ufficio del Consiglio di fabbrica. Durante il tragitto mi sono fermato presso le macchine del caffè del reparto Cmc allo scopo di accertare se anche in questi luoghi vi fossero degli opuscoli del tipo di cui sopra. In tutti e tre i suddetti posti ho visto l’impiegato Berardi Francesco (…) D’accordo con i miei compagni abbiamo deciso di portare l’opuscolo ai servizi di vigilanza dello stabilimento. Sceso al piano inferiore del Consiglio di fabbrica ho visto il Berardi Francesco che presentava un rigonfiamento sotto la camicia che indossava, con sopra la giacca, come se avesse un pacco di opuscoli più o meno della stessa misura di quello rinvenuto nell’officina. (…) Appena il Berardi è uscito dal Cdf ho riferito al Contrino Diego, membro del Cdf, il sospetto che il Berardi nascondesse sotto la camicia degli opuscoli delle Br e l’ho invitato a seguirlo allo scopo di sorprenderlo mentre disponeva detti opuscoli in qualche zona dello stabilimento. Appena sono uscito assieme al Contrino dalla porta del Cdf, sul davanzale, abbiamo rinvenuto un opuscolo dello stesso tipo di quello descritto. Il Berardi, in quel momento, si trovava a circa 20 metri. (…) Non ho altro da aggiungere”.
Al comando, a pochi passi dall’Italsider, l’appuntato di turno scrive la denuncia e invita il gruppo di operai e delegati in attesa a firmare. Firma solo Guido Rossa. Una firma che gli costerà la vita.
“Guido Rossa - riportava ancora l’Unità il giorno dopo l'omicidio - operaio, comunista da sempre, non era un eroe. Ce ne sono anche troppi di eroi in questo Paese. Sono gli ardimentosi della parola e della penna, pronti a ritirarsi alla prima avvisaglia di pericolo, saldamente ancorati al carro del più forte. Sono coloro che pronunciano parole di fuoco in difesa dello Stato, ma tacciono appena lo Stato cessa di essere dispensatore dei loro privilegi. Rossa non era né l’uno né l’altro. Ma da operaio e da comunista é morto perché credeva nella democrazia e non voleva cedere alla paura, perché aveva la coscienza di battersi per una società migliore. È rimasto fino in fondo su una barricata che troppi hanno avuto fretta di abbandonare. Con lui - e con tutti quelli che, come lui ogni giorno si battono - la società ha maturato un debito immenso. Non può più rifiutarsi di pagarlo”.