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Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti, deputato e segretario del Psu (Partito socialista unitario, il partito di Filippo Turati e Claudio Treves), viene rapito sul lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma e ucciso. Benito Mussolini ordina la morte del leader socialista per mettere a tacere le sue denunce di brogli elettorali attuati dalla dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e le sue indagini sulla corruzione del governo. “Voi che oggi avete in mano il potere e la forza - aveva detto il 30 maggio Matteotti alla Camera -, voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della nazione”.
“Se la libertà è data - prosegue il deputato socialista - “ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni” (la proposta socialista di rinvio della convalida degli atti alla Giunta delle elezioni, messa ai voti, otterrà 57 sì e 42 astenuti su 384 presenti e votanti). Sarà l’ultimo discorso pubblico di “Tempesta”, come veniva chiamato dai compagni di partito per il carattere battagliero. Si racconta che a chi si congratulava con lui per il discorso alla Camera Matteotti rispondesse sorridendo: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. L’11 giugno, la notizia della scomparsa appare sui giornali.
Così il giorno successivo Mussolini risponderà ad una interrogazione parlamentare posta dal deputato Enrico Gonzales: “Credo che la Camera sia ansiosa di avere notizie sulla sorte dell’onorevole Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma comunque tali da legittimare l’ipotesi di un delitto, che, se compiuto, non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del parlamento” (più tardi Mussolini sosterrà di aver appreso della morte la sera dell’11 giugno). “L’autorità politica assicura solerti indagini per consegnare alla giustizia i colpevoli, ma la sua azione appare totalmente investita dal sospetto di non volere, né potere colpire le radici profonde del delitto, né svelare l’ambiente da cui i delinquenti emersero”, denunceranno i socialisti.
Il 26 giugno 1924 circa 130 deputati d’opposizione (popolari del PPI, socialisti del PSU e del PSI, comunisti del PCd’I, liberaldemocratici dell’Opposizione Costituzionale e del PSDI, repubblicani del PRI e sardi del PSd’Az) si riuniscono nella sala della Lupa di Montecitorio, oggi nota anche come sala dell’Aventino, decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito della scomparsa di Giacomo Matteotti. Le motivazioni dell’abbandono saranno spiegate da Giovanni Amendola sul Mondo: “Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. … Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l’illegalismo, esso è soltanto una burla”.
Nonostante le ricerche ininterrotte, il corpo di Matteotti sarà ritrovato per caso solo il 16 agosto nei pressi del comune di Riano dal cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza (il cadavere era ormai in avanzata fase di decomposizione, quindi fu necessaria una perizia odontoiatrica per il riconoscimento). Il 20 agosto alle ore 18, solo quattro giorni dopo il ritrovamento, partirà da Monterotondo il treno che riporterà a Fratta Polesine la bara con la salma. Migliaia di lavoratori, operai e contadini assiepati ai bordi della ferrovia renderanno omaggio in silenzio alla salma del deputato socialista barbaramente trucidato dai fascisti.
Il giorno prima dei funerali Velia Matteotti, la vedova, aveva scritto al ministro dell’Interno Federzoni chiedendo che al funerale non fossero presenti esponenti del Pnf e della Milizia: “Chiedo che nessuna rappresentanza della Milizia fascista sia di scorta al treno: nessun milite fascista di qualunque grado o carica comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario di servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta. Voglio viaggiare come semplice cittadina, che compie il suo dovere per poter esigere i suoi diritti; indi, nessuna vettura-salon, nessun scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio; ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno quale risulta dall’orario di dominio pubblico. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d’ordine, sia esso affidato solamente a soldati d’Italia” (la lettera di Velia Matteotti sarà pubblicata sul Corriere della Sera del 20 agosto 1924).
Il delitto Matteotti segna l’inizio del regime e costringe gli italiani impegnati in politica o comunque fedeli ai valori della libertà a scegliere da che parte stare. Lo stesso Sandro Pertini si iscriverà al Partito socialista unitario, presso la Federazione di Savona, il 18 agosto 1924, proprio sull’onda dell’emozione e dello sdegno per il ritrovamento del cadavere. “Mio ottimo amico - scriveva da Firenze nel giugno 1924 il futuro presidente della Repubblica - Ho la mano che mi trema, non so se per il grande dolore o per la troppa ira che oggi l’animo mio racchiude. Non posso più rimanere fuori del vostro partito, sarebbe vigliaccheria. Pertanto, pronto ad ogni sacrificio, anche a quello della mia stessa vita, con ferma fede, alimentata oggi dal sangue del grande Martire dell’idea socialista, umilmente ti chiedo di farmi accogliere nelle vostre file. Questo ti chiedo dalla terra che diede al delitto il sicario Dumini per la seconda volta indegna patria di Dante che se tra di noi tornasse, nuovamente se n’andrebbe fuggiasco, ma volontario, non più per le contrade d’Italia, trasformate oggi in ‘bolgie caine’, bensì oltre i confini, dopo avere ancora una volta ripetuto agli uomini con più disgusto e più amarezza, l’accorata invettiva: ahi! serva Italia di dolore ostello nave senza nocchiero in gran tempesta non donna di provincia ma bordello. Ti chiedo ancora di volermi rilasciare la Tessera con la sacra data della scomparsa del povero Matteotti: questo potrai facilmente concedermi tu, che sai come da lungo tempo il mio animo nel suo segreto gelosamente custodisca, come purissima religione, la idea socialista. La sacra data suonerà sempre per me ammonimento e comando. E valga il presente dolore a purificare i nostri animi rendendoli maggiormente degni del domani, e la giusta ira a rafforzare la nostra fede, rendendoci maggiormente pronti per la lotta non lontana. Raccogliamoci nella memoria del grande Martire attendendo la nostra ora. Solo così vano non sarà tanto sacrificio”.
“Il morto si leva - diceva Filippo Turati il 27 giugno 1924 - E parla. E ridice le parole sante, strozzategli nella gola, che furono da uno dei sicari tramandate alle genti, che son Sue quand’anche non le avesse pronunciate, che son vere se anche non fossero realtà, perché sono l'anima Sua; le parole che si incideranno nel bronzo sulla targa che mureremo qui o sul monumento che rizzeremo sulla piazza a monito dei futuri: “Uccidete me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai... La mia idea non muore…”.