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Il 17 dicembre 1966, Filippo Melodia, rapitore e stupratore di Franca Viola, viene condannato a 11 anni di carcere, ridotti il 10 luglio 1967 al processo di appello di Palermo a dieci anni con l’aggiunta di 2 di soggiorno obbligato nei pressi di Modena (sentenza confermata in Cassazione il 30 maggio 1969). Proprio a Modena Melodia sarà ucciso il 13 aprile 1978, due anni dopo essere uscito dal carcere.
La legge 5 agosto 1981, n. 442 abrogava nello loro interezza gli articoli 544, 587 e 592 del codice penale. Recitava nello specifico l’articolo 544: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
La prima a dire pubblicamente no al matrimonio riparatore dando il via all’iter legislativo che porterà quindici anni dopo all’abrogazione degli articoli di legge riguardanti il delitto d’onore ed il matrimonio riparatore sarà una ragazza siciliana: Franca Viola. Il 26 dicembre 1965, all’età di 17 anni, Franca viene rapita da Filippo Melodia. Sarà violentata, malmenata e lasciata a digiuno, quindi tenuta segregata per otto giorni.
Di fronte alla proposta di matrimonio di Melodia i genitori di Franca - contadini - reagiscono in maniera inaspettata rifiutando la proposta e denunciando lo stupratore. “Mia figlia Franca non sposerà mai l’uomo che l’ha rapita e disonorata”, sarà il commento di papà Bernardo, sempre a fianco della figlia. Sull’esempio di Franca molte ragazze cominceranno a rifiutare le nozze riparatrici.
“Di esemplare resta il comportamento della ragazza non il verdetto”, commentava sul Corriere della Sera Silvano Villani. “Ancora bisognerà fare affidamento più su altre fanciulle coraggiose come Franca Viola che sulla severità della legge per sperare che certi comportamenti scompaiano”.
“Non fu un gesto coraggioso - dirà lei anni dopo - Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Non ho mai avuto paura, non ho mai camminato voltandomi indietro a guardarmi le spalle. Non ho mai avuto paura di nessuno. Non ho paura e non provo risentimento”.
“La rivolta delle donne alla guida dell’auto in Arabia Saudita, la fuga di spose bambine, la denuncia delle mutilate, la nostra insignita Franca Viola - diceva l’8 marzo 2014 l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riconoscendole l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana - ci insegnano che le leggi obsolete, le tradizioni ostili hanno bisogno per essere mutate della reattività e del coraggio di ragazzine, di donne decise e ribelli. Anche di uomini fermamente dalla loro parte. Ne abbiamo e ne avremo bisogno sempre perché la storia dell’evoluzione della condizione femminile ci ha fatto rilevare anche tanti passi indietro. Oggi però vogliamo guardare avanti con fiducia. Adornare l’ingresso del Quirinale con l’alloro serve a onorare non solo le donne per merito delle quali sono state ottenute tante vittorie, ma anche le donne che ne conquisteranno altre, che difenderanno sempre i traguardi raggiunti senza arretrare. (…) Possiamo dire qui tutti e conclusivamente: la donna è civiltà. E che questa consapevolezza diventi realtà, è l’augurio che per l’8 marzo rivolgiamo a tutte le donne, italiane e straniere, che vivono in Italia, e a tutte le italiane che vivono all’estero. Ed è l’augurio che rivolgiamo non solo a loro ma rivolgiamo all’Italia, perché diventi il paese sempre più civile che fermamente vogliamo”. Una strada ancora lunga, ma non smetteremo mai di lottare perché sia percorsa da tutte e tutti noi.
“Sempre tutte e tutti - diceva Lidia Menapace nel marzo del 2017 - cioè sempre il linguaggio inclusivo. E sempre prima tutte e poi tutti, non solo per cortesia che quando c’è si ringrazia e quando non c’è non si può protestare, ma per diritto, perciò si può protestare: perché noi donne siamo di più. Quindi: contano i numeri, contano i voti. Non so se sapete di quanto siamo di più. All’ultimo censimento, quello del 2011, le donne risultarono essere due milioni e trecentomila circa più degli uomini. Quando lo dico, c’è sempre qualche patriarca gentile che mi dice: adesso vedrai che ci mettiamo subito in riga. Guardate che ci fu un milione di voti di donne più che di uomini al referendum 'monarchia-repubblica'; quindi non metteteci sempre così tanto tempo insomma… cercate di sveltirvi un po’… perché altrimenti nel 3003 siamo ancora qui che contiamo quanti dovremmo essere”. Quanti dovremmo essere. E come dovremmo essere.
“Le donne saranno il motore della ripartenza” dicevamo qualche mese fa. E noi continuiamo a sperare che questa tempesta partorirà una società paritetica e declinata per tutti anche al femminile, una società più giusta nella quale avere una presidente del Consiglio o della Repubblica donna possa risultare una cosa normale, così come l’idea che a parità di lavoro corrisponda - per uomini e donne - parità di salario.
Una società in cui nessuna donna debba più avere paura, di nessuno. Una società che si liberi dalla violenza, non solo quella fisica non solo quella urlata. Una società in cui ciascuno di noi non si limiti a dire “non agisco”, ma nella quale ognuno senta il dovere di affermare “io contrasto”, la violenza, la discriminazione, i retaggi patriarcali. Una grande rivoluzione pacifica che abbia il coraggio di ridefinire le gerarchie che determinano la misura del mondo. Una piccola grande rivoluzione gentile, per usare le parole di Ilaria Capua. Perché la libertà delle donne è - e rimane - il metro di democrazia del nostro paese, di tutti i paesi.