La formazione, ripetiamo da anni. Nel contrasto e soprattutto nella prevenzione della violenza, la chiave è nella formazione. Lo affermiamo da prima che la Convenzione d’Istanbul, sottoscritta dall’Italia più di undici anni fa, lo mettesse nero su bianco in modo giuridicamente vincolante, costringendo i Paesi firmatari ad agire per renderla concreta.

Non abbiamo mai smesso di chiedere perché siamo sempre state consapevoli che il riconoscimento è un problema, perché è stato – ed è – un problema la nostra libertà. La violenza non nasce oggi, ma solo da poco, pochissimo, abbiamo cominciato a chiamarla per nome, stigmatizzarla e combatterla. Non c’è aspetto della nostra cultura che non mostri il suo aspetto complice, non c’è aspetto della nostra lingua che non riveli tolleranza.

IMAGOECONOMICA
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Fabrizia Giuliani (IMAGOECONOMICA)

Ciò che oggi definiamo violenza contro le donne o violenza domestica sono stati fenomeni che hanno accompagnato, senza scandalo, la nostra storia. Il vecchio ordine patriarcale prevedeva la violenza, era parte di un ordine che non ammetteva la libertà femminile. La forza serviva a mantenere uno stato di disponibilità e servitù, nel caso non fosse spontaneamente assecondata.

L’ingresso delle donne nella sfera pubblica ha fatto saltare quell’ordine, ma le leggi non scritte che lo hanno sostenuto restano e resistono. Sono quelle che, nonostante il cammino normativo continuano a attribuire alle donne la colpa della violenza, nonostante sia certificata la responsabilità maschile.

Come Comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne – insediato nel 2022 e confermato dalla ministra Roccella – abbiamo sottolineato da subito l’importanza di intervenire su questo terreno e accolto la sollecitazione a lavorare per la stesura di un Libro bianco per la formazione, primo passo per il riconoscimento.

Anticipiamo qui una parte dell’Introduzione

Se la violenza contro le donne affonda le sue radici nella nostra cultura, la sua identificazione è un dato molto più recente, e come mostrano le ragioni che sono dietro questo lavoro, non può dirsi ancora del tutto compiuto. Misurarsi con questo tema vuol dire dunque affrontare il problema del suo riconoscimento: la violenza resta inespressa per un tempo molto lungo, mancano le parole per esprimerla e quando arrivano non bastano. La tendenza a negarla, ignorarla, coprirla, trascurarla, attraversa gli anni più recenti ed è ancora il primo ostacolo da affrontare per chi ha come obiettivo il suo contrasto.

Partiamo dalle origini: la violenza sessuale attraversa l’arte e il mito come tratto ricorrente, eppure le grandi lingue antiche, greco e latino, non hanno parole per esprimere in modo puntuale e circostanziato il fenomeno. Quelle che più si avvicinano al significato odierno coprono un’area semantica che intreccia istanze diverse, ma non comprende il tratto che oggi identifichiamo come distintivo: il consenso libero.

La mancanza è un segno e in questo caso indica un aspetto preciso: la violenza maschile su una donna non è riconosciuta perché la sua volontà è irrilevante, il bene da tutelare non è la sua libertà ma l’onore – garantito dal vincolo matrimoniale. Non si tratta, naturalmente, di cercare simmetrie impossibili tra lingue e culture distanti nel tempo, ma di comprendere le radici di problemi che arrivano fino a noi senza essere riconosciuti. Nelle lingue antiche non troviamo il significato che oggi associamo alla parola ‘stupro’ perché manca il presupposto: gli uomini sono i soli liberi, la loro azione incontra il limite solo nel rispetto dell’ordine sociale, non in una libertà femminile ancora tutta da conquistare

Il cammino compiuto dalle donne ha trasformato profondamente gli assetti delle nostre società, portando alla rottura dell’ordine patriarcale e al venir meno della separazione tra sfera pubblica e privata sulla quale si reggeva. Non si è trattato di un processo lineare né indolore. Eric Hobsbawn, il grande storico, ha definito la liberazione delle donne come la sola rivoluzione pacifica del Novecento: le sue parole sono vere, a patto di riconoscere che la reazione a questo processo, invece, non lo è stata.

Se l’ingresso delle donne nella polis ha prodotto un conflitto che ha avuto forma pubblica – la lotta per l’emancipazione, i diritti, la fine delle discriminazioni – i cambiamenti che hanno investito la sfera privata – famiglia, affettività, sessualità – sono stati molto più difficili da elaborare e da affrontare, persino da nominare. Del resto, al contrario di quanto è accaduto per la cittadinanza maschile, i diritti civili saranno gli ultimi in ordine di conquista per le donne.

Le ragioni della violenza attuale – violenza contro le donne e violenza domestica - vanno cercate qui: nel rifiuto di una libertà inedita che ha cambiato equilibri millenari. Il fenomeno con il quale oggi siamo alle prese va letto in questa congiuntura e rappresenta, evidentemente, un problema di cittadinanza.

Fabrizia Giuliani è la presidente del Comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne