Il decreto flussi 2024 per i migranti è stato un flop. Come negli anni precedenti, quando solo il 30% delle domande ha portato a un contratto e al rilascio del permesso di soggiorno.
Da segnalare, intanto che oggi (martedì 14 maggio) è stato dato l’ultimo via libera europeo all'insieme dei testi che costituiscono il nuovo Patto di migrazione e asilo. Tutti i dieci atti legislativi che compongono l'insieme delle nuove norme sono stati approvati a maggioranza dal Consiglio Ue nella riunione dell'Ecofin.
Il decreto italiano
Come si diceva all’inizio, nei click day i posti stabiliti sono andati esauriti in quattro minuti. Ma in molti casi il nulla osta ottenuto sarà vanificato dalla complessità delle procedure. Nonostante la retorica del governo sull’immigrazione, infatti, secondo associazioni e sindacati il decreto produce proprio quell’irregolarità che dice di voler combattere.
Per il 2024 sono complessivamente 151 mila le quote di ingresso. 61.250 per lavoro subordinato non stagionale, 700 per lavoro autonomo e 89.050 per lavoro subordinato stagionale. Secondo i dati del ministero dell’Interno, le istanze presentate nei tre click day sono state 690 mila. Per la sola assistenza familiare, ad esempio, a fronte di una quota di 9.500 l'anno per il biennio 2023-25, ci sono state già 112 mila richieste.
Ma c'è di più. Secondo associazioni e sindacati, dopo la “gara” telematica che premia il dito più veloce, le complesse procedure previste permettono a “mediatori” di ogni tipo di lucrare sulle speranze dei migranti. Non solo dei lavoratori che ancora risiedono nel Paese di origine e cercano di entrare in Italia, ma anche di stranieri già residenti in Italia - spesso da anni - senza permesso di soggiorno, e che cercano di regolarizzare la propria situazione. Il decreto flussi assume così le sembianze di una sanatoria mascherata.
Il Governo Meloni ha inoltre aggiunto una clausola per cui i datori di lavoro, prima di cercare lavoratori stranieri non stagionali, dovrebbero verificare presso l’ufficio per l’impiego competente che non ci siano lavoratori italiani disponibili. L’idea è che la precedenza vada data alle risorse già presenti sul territorio.
Le testimonianze raccolte dalla Flai Cgil evidenziano tra le storture anche il fatto che a fare la richiesta non è direttamente il lavoratore ma il suo datore di lavoro, che in alcuni casi arriva a chiedere al primo un ulteriore contributo economico per concludere la procedura volta al rilascio del permesso per lavoro: una ricompensa o tangente per aver avviato la pratica. In altri casi, invece, il datore si avvale della prestazione del lavoratore finché gli serve e poi si rifiuta di formalizzare il rapporto. Nello scenario peggiore, invece, i lavoratori incorrono in vere e proprie truffe: promesse di assunzione da parte di aziende che non esistono in cambio di centinaia o migliaia di euro.
Da qui un quadro non certo confortante. Secondo i dati del Viminale analizzati dalla campagna “Ero straniero”, solo il 32% dei migranti che entrano in Italia attraverso questo sistema ottiene di fatto il permesso di soggiorno. Il restante 68 è composto da una quota di persone che non partono mai, e un’altra, più importante, di persone che ripiombano in uno stato di irregolarità.