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Allo stato attuale, è pura teoria. E per vedere l’avvio della fase operativa bisognerà aspettare il 2021 inoltrato. Ma la strada è tracciata. Ed è un percorso nuovo, diverso da quello solcato in passato. Si tratta ora di percorrerlo fino in fondo. In tema di politiche industriali, il governo sta cambiando strategia, aiutando le imprese in difficoltà, non solo tramite incentivi e defiscalizzazioni, ma entrando direttamente nel pacchetto azionario delle aziende, con il sindacato che si dimostra favorevole all’operazione. Ha fatto da apripista la Corneliani con l’accordo raggiunto nel luglio scorso (come si ricorderà, al termine di una lotta dei lavoratori durata mesi davanti ai cancelli della fabbrica della casa di moda mantovana).
Adesso è la volta della nuova linea produttiva di componenti per elettrodomestici dell’ex Embraco, già stabilimento storico della Fiat fin dall’immediato Dopoguerra, ceduto in seguito a Whirlpool negli anni Novanta, delocalizzato in Slovacchia un decennio più tardi, fino alla crisi del 2018, con tutti i lavoratori finiti in cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività, dopo l’avvenuta vendita nel 2018 al gruppo giapponese Nidec e il progetto di green economy con la produzione avveniristica di robot pulitori di pannelli fotovoltaici, a sua volta poi fallito nel giugno scorso.
“A tutt’oggi, un accordo vero e proprio ancora non c’è .Però, esiste un progetto di rilancio, messo a punto dal ministero dello Sviluppo economico, che va implementato. Si tratta di una scelta duratura di politica industriale, che giudichiamo positiva, perché punta a recuperare due stabilimenti produttivi, quello di Riva di Chieri dell’ex Embraco e l’altro di Acc Wanbao a Belluno”. E’ quanto afferma Ugo Bolognesi, della Fiom Cgil di Torino, a proposito del nuovo piano industriale della Newco Italcomp, che dovrebbe partire nel luglio 2021, con una struttura a maggioranza pubblica, con cui s’inserirà nel mercato dei compressori e dei motori per elettrodomestici.
Obiettivo del nascente progetto, un nuovo polo italiano per la produzione di compressori, il cui mercato finora è stato pressochè totalmente - al 94% - in mani cinesi. “Quella che si prospetta, è una sorta di rivoluzione copernicana - spiega il dirigente sindacale -: dopo vent’anni di delocalizzazioni a pioggia, i grandi player di produzione di elettrodomestici si sono accorti che la filiera corta non funziona più e che, al contrario, conviene ritornare all’elettrodomestico fatto interamente in Italia.
Il piano nasce dall’idea di costituire un nuova società che per i primi cinque anni avrà capitale a maggioranza pubblica, attraverso l’ingresso di Invitalia al 40%. Un altro 21% di fondi ce lo metteranno le due Regioni interessate, ovvero Piemonte e Veneto, mentre il restante 39% proverrà da capitali privati (elargiti da banche, clienti, fornitori, società interessate, ecc). La produzione iniziale sarà di sei milioni di compressori all’anno per lavatrici e frigoriferi, destinati ai big del freddo in Europa. Ma una parte di attività potrà essere riservata alla micromobilità urbana - dalla bicicletta al monopattino elettrici -, il cui mercato è in espansione grazie agli incentivi statali.
Per il momento, però, tutto è sulla carta: lo stabilimento torinese è vuoto, mentre quello veneto è in amministrazione straordinaria, e nel 2021 dovrebbe iniziare tutta la fase di passaggio di attività con l’installazione dei macchinari. Gli investimenti complessivi previsti sono pari a 56 milioni, di cui 18 a Riva di Chieri e 28 a Belluno. Inoltre, vanno risolte tutte le questioni burocratiche, da completare entro l’anno e sostituite da tavoli operativi. Un passaggio importante avverrà in dicembre, quando la richiesta di finanziamento corrente dello stabilimento Acc Wanbao sarà sottoposta al vaglio dell’Unione europea.
Qualora da Bruxelles arrivasse una risposta negativa, configurandosi l’ipotesi di aiuti di Stato, lo stesso ministero si è dichiarato pronto a trovare delle soluzioni alternative. Senza ulteriori ostacoli e in base alle previsioni, la produzione industriale dovrebbe partire a gennaio 2022. Restano da chiarire i volumi occupazionali garantiti dal piano, tenendo in considerazione che i lavoratori in forza alla ex Embraco sono circa 400, per i quali la cigs scadrà a luglio 2021, a cui si sommano i 300 addetti di Acc.
“La grossa sfida è che l’impostazione data è corretta. Riteniamo molto positivo questo nuovo percorso della politica, che si occupa finalmente anche delle questioni industriali e ci teniamo a ricordare che se oggi possiamo discutere di questo progetto è sì grazie all'impegno del Mise e al lavoro di Maurizio Castro - il commissario straordinario incaricato -, ma che tutto ciò è stato possibile soprattutto grazie alla tenacia dei lavoratori delle due fabbriche, Acc di Mel ed ex Embraco di Riva di Chieri, che non hanno mai mollato, tenendo in tutto questo tempo le fabbriche aperte e che ringraziamo prima di chiunque altro. Ora bisogna passare dalle parole ai fatti”, rileva ancora il sindacalista.
“Per quanto riguarda la struttura societaria, crediamo sia importante e fondamentale che emerga un impegno fattivo da parte delle Regioni, affinché la nuova società che andiamo a costituire abbia un controllo pubblico, questione che consideriamo strategica per la buona riuscita di tutto il progetto. In merito al percorso che ci porterà alla costituzione della Newco, riteniamo inoltre necessario che ci siano garanzie da subito sulla tenuta in sicurezza dello stabilimento di Mel, sia da un punto di vista finanziario che produttivo. Quello che per noi è ora importante per andare avanti è procedere con un tavolo che inizi, in modo continuativo e sistematico, a entrare nel merito. Quindi, è necessario capire quale sarà la struttura occupazionale proposta, che per quanto ci riguarda deve comprendere tutti i lavoratori in organico”, aggiungono le tute blu della Cgil.
Ancora i sindacati, ritengono prematuro inserire nel piano industriale i nove milioni del fondo Whirlpool, originariamente destinato ai lavoratori, senza aver prima affrontato e valutato il perimetro occupazionale della nuova società. “Fermo restando, che un discorso su eventuali incentivi all'uscita si potrà fare soltanto quando avremo definita la struttura occupazionale, avendo chiaro quali e quanti fondi occorrono, riteniamo che occupazione e mobilità devono essere discusse insieme e chiediamo al Commissario straordinario e al Mise di valutare la possibilità di prevedere l'utilizzo delle risorse anche per la riqualificazione dei lavoratori”, conclude Bolognesi.