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Scusami, posso parlare prima di te? Sai devo tornare di corsa a palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri. Ma che dici, ce la faremo a uscire da questa crisi? Sei sicuro che non serva la ricapitalizzazione delle banche, come abbiamo proposto? Proposta che ci hanno poi bocciato i banchieri italiani...
Queste che avete appena letto sono le domande che ci siamo immaginati osservando l’incontro tra il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, seduti l’uno accanto all’altro il 31 ottobre durante la celebrazione dell’ottantaquattresima Giornata mondiale che si è tenuta questa mattina nell’austero Palazzo della Cancelleria. Sono domande inventate (immaginifiche), ma forse neppure troppo fantasiose, visto che a un certo punto il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, ospite della giornata del risparmio, ha annunciato che il ministro – per impegni sopraggiunti – aveva chiesto di poter parlare prima del governatore Draghi. Immaginifiche o no, le domande del ministro, ma soprattutto il suo atteggiamento di estremo rispetto nei confronti del governatore, ci hanno fatto intuire due possibili verità, anche queste forse non troppo inventate. La prima: probabilmente in questo momento c’è solo un uomo che riesce a mettere sull’attenti il professor Tremonti: il professor Draghi. La seconda: in questo periodo di catastrofe finanziaria, l’antico duello tra il professor Tremonti, superministro dell’economia e il governatore della Banca d’Italia, chiunque esso sia, non ha più la carica e la linfa vitale di un tempo. Con la Banca d’Italia – ha spiegato Tremonti durante il suo intervento – siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Più precisamente, il ministro ha dichiarato: “Concordiamo con tutto quello che ha detto in questo periodo la Banca d’Italia”.
E così si sono invertiti i ruoli di quel vecchio film che avevamo visto al tempo del confronto-scontro tra Fazio (anche lui diventato nel frattempo uno scrittore no-global) e Tremonti. Al superministro è toccata la parte del filosofo ed è per questo che ha parlato di etica e di rottura dei paradigmi fondanti del capitalismo; la crisi mondiale non dipende solo dalla violazione di regole, ha spiegato, mentre è toccato proprio al governatore Draghi spiegare alcuni dei meccanismi finanziari ed economici che determinano la situazione attuale. Tremonti si era soffermato a difendere la vecchia deregulation, che tutti accusano ingiustamente di aver provocato lo tsunami finanziario. E aveva spiegato che il problema vero è stata la rottura del nesso tra rischio e fiducia, alla base da sempre del capitalismo. Qualcuno ha pensato di poter fare capitalismo senza rischio. O peggio, ma questo Tremonti non lo ha detto a chiare lettere, rischiando solo i soldi degli altri. Per uscire dalla crisi, suggerisce Tremonti, ministro e scrittore pentito del mercatismo, si deve tornare non solo alle regole e quindi alle norme di legge, ma soprattutto ai valori. E perché no, perfino all’etica.
Il governatore della Banca d’Italia, Draghi, è stato invece molto più pragmatico. Ha voluto volare meno in alto, ma ha pronunciato parole asciutte che descrivono il succo delle cose forse molto meglio di tanti sondaggismi. Citiamo per intero un passaggio che ci è sembrato illuminante: “Nel nostro paese un quinto del reddito nazionale lordo viene risparmiato ogni anno. La stessa quota di reddito è negli Stati Uniti meno di un settimo. Il risparmio italiano è alimentato sia dalle imprese, sia dalle famiglie. Il contributo di queste ultime resta fra i più elevati nelle economie avanzate, circa il 10 per cento del reddito disponibile. Lo stesso settore pubblico nel decennio in corso ha quasi sempre generato risparmio, pur in quantità limitata, dopo quasi tre decenni in cui lo aveva invece costantemente distrutto, a ritmi fino a oltre l’8 per cento l’anno. Questa capacità di risparmiare resta una grande dote del nostro paese. Consente alti tassi d’investimento senza compromettere l’equilibrio nei conti con l’estero. Lo scorso anno gli investimenti fissi lordi sono stati da noi superiori di oltre due punti a quelli statunitensi e tedeschi”. Firmato Mario Draghi, lo stesso uomo che si ostina da mesi a sottolineare l’insufficienza cronica e drammatica dei salari dei lavoratori italiani. E che, durante il discorso alla Cancelleria, ha ribadito anche altri due concetti. La crisi sarà ancora lunga (durerà almeno fino alla metà del 2009), le banche sono solide, ma devono valutare in modo pragmatico, quasi caso per caso la necessità della ricapitalizzazione per far fronte a qualsiasi emergenza finanziaria possibile. L’urgenza vera è dunque quella di ristabilire il corretto rapporto tra banche e risparmiatori. Le banche devono pensare soprattutto alle famiglie. E in generale bisogna tenere sotto controllo l’inflazione, quella bestia che mangia i redditi dei lavoratori. Insieme ai mutui, per dovere di cronaca.