PHOTO
L’autonomia economica è certamente uno strumento non solo utile, ma indispensabile per emanciparsi da maschi violenti che anche attraverso la dipendenza monetaria limitano la libertà delle donne. E allora la via maestra non può che essere il lavoro. È quindi positivo il giudizio espresso da Susanna Camusso, responsabile politiche di genere della Cgil, in Commissione Lavoro della Camera dei deputati sulla volontà del Parlamento di affrontare la questione. È stata chiamata per esprimere il suo parere su tre disegni di legge, i numero 1891, 1791, 1458 che contengono norme per facilitare l’accesso al lavoro per donne vittime di violenza. Sebbene l’intento dei provvedimenti sia appunto positivo, gli strumenti individuati non convincono fino in fondo la dirigente sindacale.
Il ddl n.1891 individua l’inserimento delle donne vittime di violenza nelle quote protette per le assunzioni come strumento utile a favorire l’occupazione. Camusso ha sottolineato in Commissione che spesso le donne vittime di violenza fanno parte di percorsi protetti, quindi non è opportuno inserire i loro nomi in elenchi pubblici. Il n. 1791, oltre all’inserimento nelle quote protette, prevede una decontribuzione per le aziende che assumono le vittime di soprusi a tempo indeterminato: “Da tempo ragioniamo – ha aggiunto - se esista congruità tra le risorse spese e gli effetti occupazionali nelle politiche di decontribuzione”. Infine, il n. 1458 prevede l’estensione delle agevolazioni previste per le cooperative sociali a tutto il sistema delle imprese.
Per Camusso dunque: “È necessario collegare il ragionamento su proposte molto circostanziate e la valutazione che per contrastare la violenza maschile contro le donne servono risposte di sistema. Se sono essenziali percorsi di inserimento al lavoro, altrettanto essenziale è la stabilità e la certezza di questi percorsi, come è essenziale l'idea che essere vittime di violenza non coincida con la perdita di lavoro e reddito. Proprio per questo – ha sottolineato la sindacalista - abbiamo salutato positivamente l’inserimento di un titolo dedicato nel Piano nazionale antiviolenza”.
Ma affinchè alle parole corrispondano fatti, la Cgil ha consegnato alla Commissione una memoria che contiene le proposte del sindacato di Corso d'Italia. Proposte che corrispondono a un vero e proprio percorso:
- La salvaguardia del lavoro per quelle donne vittime di violenza che un lavoro lo hanno prima e lo perdono anche per ragioni di protezione/sicurezza o per necessità di “cura”. In questo senso si dovrebbe provvedere alla possibilità di accesso alla Naspi, a forme di conservazione del posto di lavoro durante il percorso di “ricostruzione”.
- La nostra normativa ha uno strumento molto importante, i congedi retribuiti, di cui bisognerebbe migliorare la diffusione dell’informazione e calibrarne la durata. E serve un nuovo strumento, il reddito di libertà.
- Riteniamo necessario, poi, favorire norme che permettano il trasferimento in altre sedi della stessa azienda, per lavoratrici vittime di violenza che devono cambiare luogo di residenza per ragioni di sicurezza.
- Sottolineiamo questi aspetti perché li mettiamo in relazione sia ai tempi dei processi penali e civili a volte in contraddizione tra loro, sia perché difficilmente si può precostituire la durata dei percorsi di ricostruzione di sé.
- Per disegnare un percorso compiuto di accompagnamento, bisogna tenere conto della perdita di fiducia in sé stesse che determina la presa di coscienza della violenza. Si determina infatti una necessità di ricostruzione e conoscenza delle proprie capacità e competenze. Inoltre vi sono le difficoltà di chi non era già occupata, presente nel mondo del lavoro e non conosce le proprie capacità.
- Esistono già buone pratiche, che soffrono della discontinuità dei sostegni e dei finanziamenti o dell’assenza di qualunque forma di supporto. Sono esperienze maturate nell’ambito della formazione dedicata o delle cooperative di lavoro connesse o promosse dai centri antiviolenza. In particolare, ci permettiamo sei sottolineare il valore e la necessità di sostegno delle forme di autorganizzazione o di organizzazione cooperativa nelle case rifugio, che uniscono il lavoro e la coerente autonomia economica, con la formazione nell’ambito, anzi come parte del processo di ricostruzione della propria esistenza.