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Durante i primi mesi della pandemia, quelli più duri del “resto a casa”, molti e molte di associazioni, movimenti, luoghi delle donne hanno cominciato ad incontrarsi – se pur virtualmente – e a ragione insieme su quale fosse la “lezione” che il coronavirus lasciava dietro di sé. A saperla cogliere. Quel fluire di pensiero ha dato vita, la scorsa primavera, ad una prima edizione del “Quasi festival. La lezione del 2020”, tre giorni di discussioni on line intense e piene di speranza, oltre che di indicazioni di possibili strategie e politiche per l’uscita dalle emergenze sanitarie economiche e sociali.
Lo dicevano tutte e tutti, “nulla sarà come prima”, perché avevamo riscoperto in maniera potente il valore del servizio pubblico. Certamente per quanto riguarda la salute, ma non solo. Era il ruolo dello stato e del pubblico, appunto, che sembrava tornato al centro dell’attenzione e anche dell’economia. E con esso avevano scoperto quanto fosse determinante e ineludibile la funzione della cura, quella esercitata all’interno delle mura domestiche, e quella che si realizzava negli ospedali o nelle scuole, o ancora in quei servizi indispensabili alla sopravvivenza anche – e forse soprattutto - in epoca di lockdown. E ancora, sotto i nostri occhi si è svelato il valore di alcuni lavori, da quello degli addetti alla grande distribuzione a quello di sanificazione e pulizia di strutture sanitarie e luoghi pubblici, che fino ad allora erano rimasti invisibili e svalorizzati. Un anno fa ci si illuse? Forse, si sperava che la lezione di quelle settimane avesse lasciato il segno e che le politiche di ripresa ne fossero informate.
Se stiamo ai numeri dalla pandemia non siamo usciti ma la voglia o la necessità di normalità fa premio sul rischio. E sempre i numeri, quelli del Pnrr dicono che non proprio tutti i suggerimenti di allora hanno trovato cittadinanza. Non sembra affatto che il gran valore del pubblico e dello stato sia tra le indicazioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza, scritto invece all’insegna delle liberalizzazioni e della concorrenza, il privato e il mercato sembrano – invece – trovar nuovo ruolo anche nella sanità rinnovata della missione 6 del Piano. E certo la funzione della cura non sembra proprio aver lasciato un segno dietro di se visto, che tra le infrastrutture materiali e quelle sociali i maggiori investimenti si concentrano sulle prime. Il fisco? Quello che sembra uscire dalla delega all’attenzione del Parlamento appare abbastanza lontano dal dettato costituzionale, per non parlare dalla necessità di redistribuzione di ricchezza e reddito che non solo il Covid ma anche la guerra portano prepotentemente con sé.
E il lavoro? A perderlo nell’anno primo della pandemia sono state soprattutto le donne e poi i giovani. A ritrovarlo, quasi esclusivamente precario, gli uomini. Quel po’ di donne che son riuscite a conquistare un’occupazione, l’han trovata povera. Il mondo poi irrompe, con le contraddizioni di una pandemia che trova prevenzione e cure solo nel ricco miope e arrogante occidente che pensa di salvarsi da solo destinando ai paesi fragili i vaccini “donati” e non il diritto alla prevenzione e alla cura pur di tutelare gli interessi delle multinazionali del farmaco e del libero mercato.
Infine, la guerra con i suoi orrori, e la tentazione del pensiero unico che impedisce di capire. Ogni guerra è orrore e la risposta non può che essere la pace costruita non con le armi ma con la politica e il dialogo. E con un diverso protagonismo delle istituzioni internazionali dall’Europa all’Onu.
Di tutto questo, e di molto altro ancora, si tornerà a discutere nella seconda edizione del “Quasi festival”. Un programma ricco di incontri che di dipano su tre giornate, dall’8 al 10 aprile. Oltre 130 relatori e relatrici, e gli organizzatori si augurano che a ragionar con loro siano davvero in tanti e tanti. L’appuntamento è fissato per le 17 di venerdì 8 aprile per il panel “Diseguaglianze globali, insicurezza, guerre e crisi climatica. Non siamo tutti sulla stessa barca”. Ad accogliere la tre giorni non poteva esser luogo migliore che la Casa internazionale delle donne di Roma.
Il programma è davvero troppo ricco per essere sintetizzato ma QUI è possibile leggerlo