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Il sesso senza consenso è stupro. Non per i rappresentanti di alcuni Stati europei, che ieri hanno optato per una formulazione della direttiva sulla violenza di genere con un accordo al ribasso, come si dice in questi casi. Al ribasso sulla pelle delle donne.
Mentre nel testo originariamente approvato dal Parlamento europeo (Il Parlamento europeo è composto dai deputati che eleggiamo), alla cui elaborazione aveva collaborato anche il Comitato donne della Confederazione europea dei sindacati, era espressamente sancito che “il sesso senza consenso è stupro”, nella versione finale uscita dal Trilogo (il negoziato interistituzionale informale che riunisce rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione europea per raggiungere un accordo provvisorio su una proposta legislativa accettabile per tutte le parti: il Parlamento, Consiglio e co-legislatori) questa norma, già prevista nella Convenzione di Istanbul, è stata cassata perché, secondo alcuni membri del Consiglio (nel Consiglio dell’Ue i ministri dei governi di ciascun Paese dell’Ue si incontrano per discutere, modificare e adottare atti legislativi e coordinare politiche), divisiva.
Così come è stato cassato l’articolo 4 sulle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. A colpire di questa vicenda, i cui effetti riguardano tutte le donne che vivono in Europa, sono le dinamiche: alcuni Paesi come l’Ungheria di Orban, che non a caso non ha aderito alla Convenzione di Istanbul, si erano opposti a una definizione così netta di stupro o delle molestie che nelle aule dei tribunali facilita le condanne degli aggressori.
Per altri, Svezia, Belgio, Grecia, Spagna che già hanno una legislazione avanzata su questi temi e che di conseguenza non hanno bisogno di una direttiva per aprire la strada a maggiori tutele per le donne, non aveva “politicamente” valore avviare una trattativa che implica scambi.
Così, sull’altare della realpolitik europea e del conservatorismo di alcuni stati, la direttiva è stata smorzata della portata innovatrice sul versante della tutela delle donne dalla violenza maschile. Resta l’amarezza per come il tema è stato trattato anche dai media mainstream: mentre imperversano le patologie della famiglia reale inglese piuttosto che cantanti e attori, trattori e pesticidi, e mentre si sta celebrando a Tempio Pausania il processo per violenza sessuale di gruppo durante il quale gli avvocati della difesa hanno posto appena millequattrocento domande alla vittima tra cui “perché non ti sei opposta?” o “perché non li hai morsi?”, l’affossamento della norma contro il sesso senza consenso, nonostante la presa di posizione delle maggiori associazioni, dei sindacati unitariamente e di alcune personalità, ha trovato spazio solo grazie agli editoriali di alcune donne impegnate dalla parte delle donne.
L’eurodeputata del Pd, Pina Picierno, che ha seguito i lavori della direttiva sin dalle sue prime battute e che molto si era attivata per cercare di salvare il testo originario, ha osservato: “Il trilogo sulla direttiva sulla violenza di genere è durato meno di tre ore. Solitamente dura tre giorni”. Trovato l’accordo sul testo che passerà in votazione ad aprile, non restano altre opzioni che votarlo o respingerlo e aspettare tempi migliori per una normativa europea davvero utile.
Nonostante in Italia e in Europa una donna ogni tre abbia subito violenze o molestie, quello della violenza contro le donne non è ancora un tema dirimente per la politica. Più per i governi, i cui rappresentanti sono nel Consiglio che ha chiesto l’alleggerimento delle norme, che per i deputati eletti dai cittadini che invece si erano spesi per un testo più avanzato.
Esmeralda Rizzi, Ufficio politiche di genere Cgil, componente Comitato Donne Ces