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Silvio Trentin, con la moglie e i figli Giorgio e Bruno (Franca rimane in Francia), rientrano in Italia dopo la caduta di Mussolini pochi giorni prima dell’8 settembre. È allora che Bruno, non ancora diciassettenne, inizia a scrivere il suo diario. Compilato nella sua lingua madre, il francese, le Journal de guerre è scritto su un’agenda in tela nera, di cm. 14,3 x 22,2, che reca sulla copertina, con caratteri in doratura, la scritta «Mastro giornaliero».
Le pagine adoperate da Trentin sono in tutto 212, quelle che nella sequenza giornaliera dell’agenda vanno dal 1° gennaio al 16 agosto 1944 (è da presumere che l’agenda sia stata acquistata nei giorni immediatamente precedenti al 22 settembre 1943 e che fosse dunque già in vendita, in vista dell’anno successivo). Negli angoli alti esterni, Bruno aggiunge con la matita blu una numerazione progressiva, che si interrompe a pagina 159. I testi sono scritti con inchiostro stilografico nero. Frequenti sono le sottolineature, a penna, o a matita, nera, rossa o blu. Altrettanto frequenti le inserzioni di ritagli di giornali, volantini, cartine geografiche ed altri materiali a stampa. Tutto il testo, ordinatissimo, è scritto in francese, salvo qualche rarissima citazione in italiano e l’ultima frase a matita, anch’essa scritta in italiano: Tempo perduto. Ora all’opra!
Nel sottotitolo Bruno cita la Marsigliese e l’Internazionale; nella seconda pagina incolla l’immagine di un soldato in armi con la didascalia inneggiante ad “un esercito nuovo, giovane, puro, vendicatore. Quello della liberazione francese”. Sull’8 settembre 1943, scrive l’autore alla prima pagina del diario: “L’8 mio padre era a casa dei suoceri, mio fratello a casa di amici. Io passeggiavo per caso sulla piazza principale di Treviso (Veneto). Si era radunata una folla confusa e incerta. Corrono delle voci: la Pace... la Pace!... Voci, ma nessuno ne sa niente. Tutto a un tratto, un uomo compare a un balcone e urla: ‘Italiani! Una grande notizia... Armistizio!... la guerra del fascismo è finita!... Vendetta contro quelli che vi ci hanno trascinato!’. La gente grida di gioia, i soldati si abbracciano, si corre per le strade, si canta. Io, tremante, tesissimo, mi precipito attraverso il dedalo delle viuzze sporche della città bassa”.
In cinque minuti, il giovane Bruno è a casa del nonno materno: “Irrompo nella stanza in cui mio padre sta discutendo con alcuni amici; grido: ‘Badoglio ha firmato l'armistizio!’. Mio padre si alza in piedi, grave, senza inutili esplosioni di gioia; si guardano tutti tra loro... È la guerra che comincia!.... La guerra vera per l’Italia vera. Da quel giorno, le nostre volontà: quella di mio padre, di mio fratello e la mia, si sono sforzate di farla, questa guerra, con ogni mezzo”. Inizia, anche per Bruno e Silvio, la Resistenza.
“… Da quel momento fino alla sua morte - ricordava Bruno in una intervista filmata dal regista Franco Giraldi nel 1998 e ancora oggi essenziale per comprendere alcuni passaggi della sua biografia - io ho ritrovato mio padre da tutti i punti di vista, cioè si è costruito quel rapporto che era in parte mancato nella prima adolescenza, un rapporto straordinario; io ho lavorato con lui e per lui”. Padre e figlio vengono arrestati e imprigionati a Padova a metà novembre, poi liberati ma sotto sorveglianza.
In carcere Silvio è colpito da un nuovo attacco di cuore: viene ricoverato prima a Treviso poi a Monastier dove muore nel marzo 1944, dopo aver dettato a Bruno (gennaio 1944) un abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia al termine della rivoluzione federalista in corso di sviluppo e redatto un ultimo appello ai lavoratori delle Venezie. Bruno, che non ha ancora 18 anni alla morte del padre, si dedica anima e corpo alla guerra partigiana con lo pseudonimo Leone: prima nella marca trevigiana soprattutto nelle Prealpi sopra Conegliano, poi, dopo il rastrellamento tedesco dell’estate 1944 a Milano, agli ordini del Cln Alta Italia e di Leo Valiani, a cui il padre lo aveva affidato prima di morire.
“Vivrà a Milano sette mesi intensissimi, come dirigente dei Gap di Gl - scriverà Luisa Bellina - facendo una vita totalmente clandestina, cambiando continuamente residenza. Non teme di sporcarsi le mani. Il suo compito è di fare attentati, giustiziare spie, compiere azioni per acquisire armi, organizzare sabotaggi e azioni di propaganda nelle fabbriche. … Bruno è un gappista determinato, dal sangue freddo eccezionale. I compagni di lotta ne ricordano il carisma: 'ti inchiodava con lo sguardo'. Più giovane di tutti loro, impartisce ordini, risolve problemi, corre da un posto all’altro con la furia di un ragazzo che aveva solo voglia di divorare, di divorare conoscenze, luoghi, persone”.
Nelle ultime settimane prima dell’insurrezione è alle dirette dipendenze di Valiani con cui si vede quasi ogni giorno, lavorando sia con i dirigenti del Comitato regionale lombardo sia con quelli del Comitato di Liberazione Alta Italia. Conosce, in questo periodo, Riccardo Lombardi e Vittorio Foa. Lussu, in una lettera dell’11 maggio 1945 a Franca Trentin lo definisce come “uno dei più audaci capi dell’insurrezione di Milano ... È stato semplicemente magnifico e ha rischiato mille volte: gli hanno sparato addosso in tante occasioni e si è sempre salvato. Egli ha in modo luminoso tenuto alto il nome dei Trentin”. E in un’altra del 6 giugno: “capo delle squadre giovanili all’insurrezione di Milano, comandava oltre 2.000 uomini. Ora fa dei comizi nelle fabbriche con successi strepitosi! Se l’è cavata per miracolo. In una spedizione, sullo stesso camion sono morti 8 suoi giovani compagni presi di mira dai fascisti che vi lanciavano bombe. Si è salvato solo lui e lo chauffeur. Ha avuto anche altre avventure del genere. Insomma, è in vita. Ed è ben orgoglioso di portare il nome di Trentin”.
Bruno non si limita a svolgere azioni militari, ma partecipa attivamente alla preparazione politica della Liberazione. Redige insieme a Vittorio Foa il proclama per l’insurrezione di Milano e prende la parola in piazza Duomo il 28 aprile 1945 a nome dei giovani combattenti del Partito d’Azione, subito dopo Luigi Longo, Sandro Pertini e Cino Moscatelli. Per la sua partecipazione alla Resistenza gli verrà assegnata la croce al valor militare con la seguente motivazione: “Partigiano combattente, partecipava con grande slancio alla lotta partigiana. Benché giovanissimo, dimostrava ottime capacità nell’organizzare alcune formazioni, alla testa delle quali compiva numerose azioni e concorreva efficacemente ai vittoriosi combattimenti delle giornate insurrezionali”.
Ricorda Luciana Rampazzo, prima moglie di Bruno Trentin dalla quale si separa alla fine degli anni Settanta: “Ho conosciuto Bruno nel 1946, reduce da Milano dove aveva fatto il partigiano come gappista. Era del partito d’Azione, molto legato ad altri azionisti, a Valiani, a Foa, a Lombardi con cui aveva combattuto a Milano. … Di ritorno in Italia Bruno era sotto influenza francese, sia per quanto riguarda la lingua, sia la cultura. Non si sentiva italiano sotto questo punto di vista. Non fosse stato per l’esperienza della guerra partigiana, non so se avrebbe optato per la cittadinanza italiana”.
E invece opta per l’Italia, per quel popolo “creduto morto, servitore, vile e codardo” e che invece - scriveva nel suo diario - È là!”.