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L’anno che si è appena concluso è stato caratterizzato da un incessante refrain governativo sul tema della denatalità coniugato, con costante insistenza, con la difesa della cosiddetta famiglia tradizionale che da un certo momento in poi – nell’instancabile narrazione propagandistica della ministra per la Famiglia – non ha nemmeno avuto più bisogno dell’aggettivo “tradizionale” in quanto, semplicemente, unica forma familiare possibile dal suo punto di vista. Con buona pace della realtà, assai più variegata dell’ideologia, e dei diritti delle famiglie, tante, che non rientrano nel modello “giusto”.
Sarebbe del tutto fuori dalla realtà negare l’esistenza del problema demografico nel nostro Paese. Tuttavia, viene da dire, sotto la propaganda, niente. Niente che sia davvero in grado di invertire la tendenza e dia ai giovani una fiducia sufficiente nel futuro tale da consentire la progettazione della nascita di uno o più figli.
Anche nel caso dell’ultima finanziaria la montagna ha partorito l’ennesimo topolino: una serie di provvedimenti tutti nel segno dell’attivazione della sola leva economica e tutti con caratteristiche che, lungi dall’essere strutturali, ci riportano invece indietro alla stagione dei bonus che l’assegno unico e universale per figlie e figli aveva tentato di smantellare nell’intento di offrire alle famiglie strumenti di carattere non temporaneo.
Ben altre sarebbero – lo ripetiamo incessantemente da anni – le misure che dovrebbero essere messe in campo per consentire alle nuove generazioni la possibilità di progettare serenamente il futuro.
Sicuramente non va in questa direzione la sempre maggiore precarizzazione del lavoro che l’attuale governo si è ben guardato dal contrastare. In una situazione di questo genere chi potrebbe investire sul futuro? I figli e le figlie richiedono la certezza di redditi sicuri, la possibilità di acquistare una casa, la fiducia negli anni a venire.
Progettare la nascita di uno o più figli significa poter contare su servizi pubblici per l’infanzia che siano diffusi e di qualità. Invece, mentre predica la retorica della natalità, l’attuale governo si lascia sfuggire l’enorme occasione rappresentata dal Pnrr per allineare almeno parzialmente il nostro Paese a quelli europei riguardo all’offerta di asili nido con l’obiettivo iniziale di 265 mila nuovi posti che si è drasticamente ridotto a 150 mila con l’ultima revisione del piano.
E, ultimo ma non ultimo: come non sottolineare che la permanente disuguaglianza nella distribuzione del lavoro di cura all’interno delle famiglie produce frutti avvelenati? Stanti le due condizioni di lavoro precario e mancanza di servizi – ancor più accentuata nel Meridione d’Italia – la nascita di un figlio o di una figlia portano anche a scelte di tipo lavorativo, che si traducono nella rinuncia al lavoro o nella sua trasformazione da full time a part-time. E in un Paese che rivendica l’orgoglio della tradizione anziché fare uno scatto verso il futuro, quel peso di cura e quindi quelle drastiche scelte lavorative, finiscono per ricadere sulle donne, sulle madri, non certo sui padri.
Ma anche su questo fronte il governo della propaganda non solo non muove un dito ma addirittura, nella prima stesura della precedente legge di bilancio, riservava l’aumento della compensazione economica dei congedi parentali alle sole madri anziché, come sarebbe indispensabile, sostenere e incoraggiare il congedo dei padri.
In questi giorni si è tornato a parlare, grazie a un emendamento alla legge finanziaria ovviamente rigettato dalla maggioranza affezionata alla visione femminile come “moglie e madre”, di congedo paritario: 5 mesi per entrambi i genitori in concomitanza con la nascita dei figli. Da sempre sosteniamo che il congedo obbligatorio di paternità a 10 giorni è meno di un pannicello caldo su una cultura patriarcale purtroppo assai radicata nel nostro paese e che le destre reazionarie incoraggiano fortemente.
Una riforma che davvero equiparasse i congedi di maternità e paternità darebbe un segno inequivocabile nella direzione del superamento di quella cultura e, unitamente al contrasto alle problematiche di precarietà del lavoro e assenza dei servizi, sarebbe, questa sì, una leva determinante per soddisfare un desiderio di genitorialità che tutte le indagini dicono essere ben radicato nelle persone ma che non può essere soddisfatto per la mancanza delle necessarie condizioni.
Daniela Barbaresi, segretaria confederale Cgil