PHOTO
Il decreto flussi, approvato dalla Camera dei deputati e in attesa del via libero definito del Senato entro il 10 dicembre, ha sollevato critiche e proteste dai partiti dell’opposizione come da ong e associazioni che si occupano dei migranti. Il motivo? Si connota come un provvedimento disumano che limita pesantemente le tutele umanitarie per donne e uomini che arrivano nel nostro Paese per motivi economici, in fuga da guerre e regimi antidemocratici.
I contenuti, già riassunti in un nostro articolo, vanno da norme che rendono più difficile il ricongiungimento familiare, all’accesso agli smartphone in possesso dei migranti o alla loro ispezione se non cooperano con gli accertamenti; dall’estensione dell’obbligo di acquisizione degli identificatori biometrici a tutti i richiedenti visti nazionali, allo stabilire nel numero di 10 mila gli ingressi fuori quota per l’assistenza familiare o sociosanitaria, sino al potere del ministro dell’Interno di limitare o vietare il transito e la sosta nel mare territoriale delle navi delle organizzazioni non governative quando ricorrano motivi di ordine e sicurezza con pesanti sanzioni pecuniarie e il rischio di fermo amministrativo fino a sessanta giorni.
Tra chi si oppone al decreto anche la Cgil, che ha subito confermato il giudizio negativo verso un provvedimento al quale, inoltre, sono state apportate in Parlamento modifiche peggiorative. In un comunicato la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli, denuncia l’assenza di una “visione generale delle politiche in materia di immigrazione, che dovrebbe essere centrale per le politiche di inclusione e contrasto alle disuguaglianze, e non si ravvisa alcuna diversa impostazione da parte del governo e della maggioranza parlamentare perché si continua a perseguire una politica punitiva e restrittiva".
Il sindacato ricorda che in Italia vi sono alcuni dati strutturali, a partire da quello demografico e del fabbisogno di mercato di lavoro, che “ci indicano senza nessun dubbio che abbiamo bisogno di una cifra tra i 250 e i 300 mila ingressi di persone migranti che servono per mantenere l’equilibrio che ci deve essere tra la popolazione attiva al lavoro e i bisogni del mercato del lavoro”.
Danesh Kurosh, responsabile dell'Ufficio immigrazione della Cgil, precisa che i lavoratori stranieri “devono essere introdotti nel mercato del lavoro con le garanzie fondamentali, con la garanzia dei diritti. Questi lavoratori non devono essere ritenuti solamente braccia, ma essere considerati come persone. Persone titolari di tutti i diritti, anche perché questo ci garantisce la loro presenza in un mercato del lavoro libero dalle tensioni che inevitabilmente si creano invece con la differenziazione dei diritti tra i lavoratori. Tutto ciò non viene assicurato dal decreto flussi”.
Kurosh porta un esempio concreto: “Chi ha bisogno di un badante deve contattare una persona che non conosce a migliaia di chilometri di distanza per poi portarla in Italia, mentre ci sono persone che già si trovano sul territorio italiano e che tentano di avere un permesso di soggiorno attraverso un lavoro e regolarizzare così la loro posizione. Se si vuole integrare i migranti nel mercato del lavoro, si devono aprire altri canali, come era accaduto con la legge Turco-Naplitano attraverso l’istituzione della figura dello sponsor. Il decreto flussi non mette in relazione chi cerca lavoro e chi è in cerca di lavoratori”.
Sui ricongiungimenti familiari “è inconcepibile – prosegue - impedire a chi si trova in Italia regolarmente di richiamare a sé i propri cari, i figli, la moglie o il marito. C’è poi un’incoerenza del governo che parla sempre di sburocratizzare e poi invece introduce norme che attraverso il moltiplicarsi delle pratiche complicano la possibilità di acquisire i permessi”.
Inoltre il decreto ha introdotto norme che non riguardano strettamente e direttamente i flussi migratori. È il caso delle norme che prevedono l’affidamento alle Corti d’appello della competenza sui procedimenti di convalida o di proroga del trattenimento dei migranti che chiedono la protezione internazionale, esautorando le sezioni specializzate in materia di immigrazione dei tribunali.
Kurosh mette in relazione questa parte del provvedimento anche con l’esternalizzazione dei confini attraverso i centri di permanenza e rimpatrio in Albania, in queste settimane al centro di un testa a testa tra alcuni tribunali italiani e il governo: “Tutto questo non funziona – afferma –: lo spostamento delle competenze e il concetto che sta alla base degli accordi con l‘Albania sono completamente sbagliati”.
Il governo non intende emendare il decreto in quello che vorrebbe fosse l’ultimo passaggio al Senato, benché ci sia anche chi tra i partiti di maggioranza fa sapere di volere modificare le norme sui ricongiungimenti perché contrarie al concetto di integrazione. Come accaduto a Montecitorio, per chiudere velocemente la partita, è però probabile che il governo approvi il provvedimento a colpi di fiducia.