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Quello del 5 febbraio 1969 è il terzo sciopero generale unitario dal luglio del 1948 e arriva dopo le due giornate di lotta per le pensioni del novembre 1968. A Mirafiori le adesioni sfiorano il 100%. Tra i manifestanti anche molti studenti. Nel 1968 l’esplosione della contestazione giovanile, radicale e irriverente, trova il sindacato impreparato, facendo emergere i limiti della sua azione in quegli anni di cambiamenti sociali.
Un campanello d’allarme arriva nei primi mesi dell’anno quando le Confederazioni sindacali chiudono un accordo per la riforma delle pensioni con il governo Moro: l’intesa viene respinta duramente dalla base e la Cgil decide il 7 marzo di proclamare da sola lo sciopero generale, che riscuote ampi consensi e adesioni. Per la Cgil la contestazione sulle pensioni rappresenta il punto più basso di consenso dal dopoguerra. Ma quella vertenza, iniziata nel modo peggiore, rappresenta di fatto il terreno dal quale ripartire. Da quel momento riprende il dialogo tra le Confederazioni, favorito in modo sostanziale dalle rilevanti conquiste operaie nella contrattazione aziendale in tema di organizzazione del lavoro, ambiente di lavoro e delegati sindacali.
Il 14 novembre 1968 Cgil, Cisl e Uil tornano a scioperare per la prima volta insieme dai tempi delle scissioni. Tra il 1968 e il 1969 le Confederazioni portano avanti le battaglie generali sulle pensioni e per l’abolizione delle gabbie salariali, entrambe con esito positivo. Nel clima di contestazione sociale e politica avviato dalle proteste giovanili iniziate nel 1968, viene varata la legge n. 153 del 30 aprile 1969, nota come legge Brodolini, passo fondamentale nella riforma del sistema previdenziale.
La riforma Brodolini - dal nome del ministro del Lavoro Giacomo Brodolini, esponente del Psi e sindacalista della Cgil - contiene alcune novità fondamentali in tema di previdenza: applicazione del sistema retributivo al posto di quello contributivo, istituzione della pensione sociale, disciplina delle pensioni di anzianità, estensione della scala mobile, aumento dei minimi pensionistici.
Alla fine del 1950 Giacomo Brodolini viene chiamato a Roma dove viene eletto segretario nazionale della Federazione lavoratori edili della Cgil. Nel comitato direttivo della Cgil dal 1951 e nell’esecutivo dall’anno successivo, rimane segretario generale della Fillea fino al 1955 quando viene nominato vice-segretario della Cgil restando nel vertice confederale fino al 1960. Nel 1956 è a fianco di Giuseppe Di Vittorio tra i principali promotori della presa di posizione del sindacato in solidarietà al popolo ungherese e di condanna dell’invasione sovietica.
Nel 1953 viene eletto per la prima volta alla Camera dei deputati nella circoscrizione di Ancona-Pesaro-Macerata-Ascoli Piceno. Ricoprirà il seggio per tre legislature, fino al 1968, anno in cui sarà eletto al Senato. Nel dicembre di quell’anno sarà nominato Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel primo governo di Mariano Rumor. In tale veste promuoverà una vasta attività legislativa in materia previdenziale e sindacale: il superamento delle gabbie salariali, la ristrutturazione del sistema previdenziale, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, divenuto poi legge.
Racconta ne La memoria di un riformista Gino Giugni: “Sembrava quasi aver fretta di portare a termine il suo compito. Riuscì a realizzare tre importanti obiettivi: la mediazione nella vertenza sulle cosiddette gabbie salariali, che favorì un accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria sull’unificazione progressiva dei salari nel paese; una riforma delle pensioni che ancorando la pensione all’80% delle ultime retribuzioni ebbe effetti duraturi e venne modificata solo con Amato nel 1992”, e, da ultimo ma certamente non in ordine di importanza, lo Statuto dei lavoratori.
Il 4 gennaio 1969, parlando ad Avola, Brodolini affermava:
Se il mio primo impegno assunto quale ministro del lavoro è stato quello di venire ad Avola (il neo ministro aveva trascorso la notte del precedente capodanno con i lavoratori della fabbrica romana Apollon ndr), ciò non è avvenuto a caso. Era mio dovere rendermi conto di come situazioni economiche e sociali, che appartengono ad un’altra società e ad un altro secolo, ancora gravino sulla Sicilia e chiedano, soprattutto a chi ha la responsabilità delle maggiori decisioni, la attuazione urgente di politiche in grado di creare le condizioni per un definitivo superamento di ingiustizie antiche che suonano scandalo per un Paese civile, progredito, che voglia essere socialmente avanzato. I cosiddetti fatti di Avola non sono un evento occasionale ma il frutto di una condizione di arretratezza secolare che non può più attendere lente maturazioni. Non potremmo comprendere i motivi di quanto è avvenuto il 2 dicembre del 1968 se non fossimo in grado di intendere i problemi della Sicilia, così come storicamente si sono configurati, e non sapessimo estrarre da essi un giudizio severamente critico sull’azione stessa dei pubblici poteri dall’unità d’Italia a oggi. (…) Ma il governo della Repubblica fondata sul lavoro può e deve fornire una diversa risposta. (…) Ecco quindi che i problemi caratteristici del Mezzogiorno e delle aree depresse: insufficiente industrializzazione, disoccupazione, sottooccupazione, sottosalario, insufficiente salvaguardia dei diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione e dalla legge e definiti nei contratti collettivi richiedono soluzioni che non debbono rimanere scritte nei programmi dei partiti e dei governi ma tradursi in concreti provvedimenti ed in politiche reali. (…) Ma i drammatici avvenimenti che hanno scosso Avola e la nazione tutta per la carica dirompente che essi hanno, sollevano anche altri problemi che pur presentandosi con particolare gravità in queste ed altre zone del Mezzogiorno, sono problemi di ordine generale che riguardano direttamente un impegno del Ministro del Lavoro in quanto tale e a nome del governo di cui fa parte ed è espressione. Nella realizzazione del programma di governo, io desidero in primo luogo ribadire l’impegno di attuazione dello Statuto dei lavoratori e cioè di una politica legislativa per i lavoratori che si deve articolare in una serie di leggi. a) Si tratta in primo luogo di riconoscere uno statuto al sindacato nell’impresa quale normale e necessario interlocutore della parte imprenditoriale e saranno predisposte norme dirette a facilitare la contrattazione collettiva e la soluzione delle vertenze perché non debba ripetersi quanto è avvenuto ad Avola; saranno inoltre garantiti e tutelati i diritti della personalità del lavoratore nei posti di lavoro; b) si intende rendere effettiva la tutela dei diritti dei lavoratori promuovendo anche un sistema di giustizia del lavoro rispondente alle esigenze di giustizia di un Paese civile; c) sarà prevista una adeguata tutela delle categorie sottoprotette specialmente necessaria nei settori nei quali la difesa sindacale è più debole; d) si procederà ad adeguare il sistema di formazione professionale oggi vigente alle esigenze di una politica attiva della mano d’opera inserita nel più generale contesto di una politica di piano. ... Se vogliamo che il sangue di lavoratori come Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona non abbia più a scorrere come conseguenza di conflitti di lavoro, dobbiamo allora garantire alla forza pubblica mezzi adeguati ma che non siano tali da provocare nocumento all’integrità fisica e alla vita delle persone. Questo episodio si iscrive nella storia tanto frequentemente punteggiata dalla tragedia e dal martirio, dalla lotta per il progresso dei lavoratori e della società. Ma noi dobbiamo fare in modo che tali sacrifici non debbano ripetersi. Assumo dinanzi a tutti solennemente l’impegno di fare, con netta determinazione, quanto è possibile fare per affermare in modo profondo i valori della giustizia e della libertà nei rapporti di lavoro e nelle condizioni dei lavoratori.
Alla sua morte, avvenuta in seguito a una malattia incurabile l’11 luglio 1969, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat gli conferirà la medaglia d’oro al valor civile, con la seguente motivazione: “Esempio altissimo di tenace impegno politico, dedicava, con instancabile ed appassionata opera, ogni sua energia al conseguimento di una più alta giustizia sociale, dando prima come sindacalista, successivamente come parlamentare e, infine, come ministro per il lavoro e la previdenza sociale, notevolissimo apporto alla soluzione di gravi e complessi problemi interessanti il mondo del lavoro. Colpito da inesorabile male e pur conscio della imminenza della sua fine, offriva prove di somma virtù civica, continuando a svolgere, sino all’ultimo, con ferma determinazione e con immutato fervore, le funzioni del suo incarico ministeriale, in una suprema riaffermazione degli ideali che avevano costantemente ispirato la sua azione”.
Giacomo Brodolini parteciperà, ormai allo stremo delle forze (morirà pochi giorni dopo) al Congresso della Cgil di Livorno dove pronuncerà con un filo di voce un discorso sembrò per tutti un testamento. “Chi nella vita sceglie i propri amici - dirà alla Cgil - sceglie anche i propri nemici ed io ho scelto voi come amici carissimi’’. Con la consapevolezza di servire una causa grande una causa giusta, con l’orgoglio di stare sempre dalla stessa parte, quella dei lavoratori. Ieri, oggi, domani.