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Stefania Taverniti all'alba di domenica 26 febbraio è stata tra i primi ad arrivare sulla spiaggia di Steccato di Cutro. La telefonata al 112 che segnalava un naufragio a cento metri dalla costa era partita alle 4.10 del mattino da un cellulare internazionale. Circa un'ora dopo sul suo telefono è arrivato un messaggio whatsapp. “Io lavoro per la Asp (azienda sanitaria provinciale ndr) di Crotone nel dipartimento di Prevenzione - ci racconta -. Abbiamo un gruppo chiamato “Vulnerabili”, che viene attivato per affrontare l'emergenza in caso di sbarchi. Il medico che ci coordina era già partito, il messaggio di allerta sul gruppo è arrivato alle 5.30, con la posizione da raggiungere. Alle 6 ero lì”.
Sulla spiaggia c'era già la Croce rossa e le forze dell'ordine. “Avevano consegnato le coperte termiche ai sopravvissuti, che erano stati spostati in un campo vicino, perché faceva molto freddo, c'era un gran vento. I sopravvissuti erano disperati, piangevano e gridavano, cercando al buio parenti e amici. Abbiamo dato i primi soccorsi, poi sono arrivate delle coperte più pesanti e tutto ciò che serviva”.
Il podcast della testimonianza
Prima di mettere piede in spiaggia, però, Stefania non aveva ancora la percezione delle dimensioni della tragedia che si stava consumando: “Quando sono arrivata, uno dei medici con cui collaboro voleva una mano per aiutare i feriti, che erano molti. Sull'ambulanza c'era una signora in stato confusionale. Aveva un grosso taglio sul naso, mi ha consegnato una banconota su cui erano appuntati dei numeri di telefono. Le ho dato il mio cellulare, ma non riusciva a digitarli, ho provato anche io ma non rispondeva nessuno. Non parlava inglese, eppure la psicologa ha capito che aveva perso uno o più figli nel naufragio”.
Nonostante questo, Stefania pensava che a essere naufragata fosse una piccola imbarcazione, “magari con una cinquantina di sopravvissuti”. Appena s'è affacciata sulla spiaggia per cercare un altro medico, però, s'è subito resa conto di cosa stava accadendo: “Mi sono trovata davanti una scena infernale. Della barca era rimasto solo lo scheletro, e tutt'intorno decine di cadaveri seminudi. Erano tantissimi. Con il medico legale ne abbiamo visitati 45: uomini, donne, bambini. Una scena indescrivibile. C'erano delle ragazze giovani e bellissime, avevano attaccato alla cintura un beauty case con i trucchi. Erano persone che arrivavano qui per cercare una vita migliore”.
“Io ho partecipato a diversi soccorsi in passato – continua fermandosi ogni tanto epr l'emozione -, ma non ho mai visto una scena del genere. Ho curato e aiutato molti sopravvissuti in condizioni terribili, ma una cosa così non l'avevo nemmeno immaginata. Da ieri non riesco a dormire o a mangiare, è stata una giornata terribile. Mentre sei lì, vai avanti, lavori, l'adrenalina ti tiene in piedi. Perché devi renderti utile, quindi provi a non pensare a niente. Ma quando ti fermi, sei casa a tua, ti fai una doccia per toglierti di dosso tutto, allora non riesci a pensare ad altro. Rivedo nella mia testa quelle scene, rivedo il dolore negli occhi dei sopravvissuti. E sento nelle orecchie le loro grida, il pianto di chi ha perso i propri cari”.
Secondo Stefania, tra l'altro le dimensioni della tragedia di Crotone sono ancora da definire: “I sopravvissuti hanno riferito al nostro medico legale che verosimilmente mancano ancora 30- 40 persone all'appello. È una cosa immane, gigantesca, fuori da ogni comprensione umana”. “Tra l'altro, le vittime sono quasi tutte donne e bambini – conclude Stefania -. Ci hanno spiegato che il naufragio è avvenuto molto vicino alla costa, quindi chi sapeva nuotare s'è salvato, chi non lo sapeva fare, bambini e donne soprattutto, è morto. Non c'è altro da aggiungere, nient'altro da dire”.