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Complica la vita della gente che vuole lavorare, non aiuta la sicurezza e nemmeno la decarbonizzazione. Parola del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini che durante il question time alla Camera ha rincarato la dose della sua personale crociata contro le Città 30 e le amministrazioni locali che stavano cercando di implementarla, prima che arrivasse una direttiva del suo stesso Dicastero a bloccare le indicazioni date in precedenza.
Bologna già più sicura
Peccato che quanto affermato dal ministro non abbia basi né scientifiche né empiriche. A partire dall’esperienza recentissima di Bologna, dove è entrato in vigore il nuovo limite di velocità di 30 chilometri orari in tutta la città, con l'esclusione dei viali di circonvallazione e delle principali radiali. Nelle prime due settimane, dal 15 al 28 gennaio, gli incidenti sulle strade urbane sono calati di circa il 25 per cento: sono stati 94 e nessuno mortale quest’anno, 119 e uno mortale lo scorso. Anche il calo dei pedoni coinvolti è indicativo: meno 27,3 per cento in quindici giorni. A giudicare da questi primi dati, la città più lenta funziona.
Lettera aperta a Salvini
“Certo che funziona: la Città 30 nasce dalle riflessioni di esperti che lavorano su questi temi da anni” afferma Matteo Dondè, architetto esperto in pianificazione della mobilità pedonale e ciclistica, moderazione del traffico e riqualificazione degli spazi pubblici, e tra gli autori di una lettera aperta firmata da 130 tecnici e indirizzata al ministro Salvini, in cui si esprime la “profonda preoccupazione per l'involuzione che il nostro Paese sta subendo e che lo allontana sempre più dalle scelte attuate da tutti i paesi dell'Unione e dalla comunità internazionale”.
La sicurezza non è una questione politica
Riflessioni e studi, ci spiega l’urbanista, che hanno sempre approfondito le questioni della sicurezza, dell’uso dello spazio pubblico, dell’ambiente e della salute. “Mi sembra che per Bologna sia diventata una questione politica e non tecnica e di civiltà, come invece dovrebbe essere. A Olbia l’istituzione nel 2021 della Città 30, che ho seguito personalmente, è stata decisa da un’amministrazione di destra e nessuno ha messo bocca”.
Olbia case history
Olbia è un caso di studio. Il sindaco si ritrovava una città invasa dalle auto. Poi ha partecipato a un progetto europeo, ha capito che si poteva migliorare e ha deciso di applicare il modello 30 a tutto il centro urbano, realizzando anche progetti di riqualificazione. Certo, non ha le dimensioni di Bologna, sebbene in estate raggiunga i 200 mila abitanti.
“Sapete che cosa è successo? – riprende Dondè -. Ha funzionato. La zona a traffico limitato del centro ha portato un aumento della frequentazione dei cittadini, locali, bed and breakfast, i turisti che prima scappavano in Costa Smeralda appena sbarcati o atterrati ora si fermano. E la percentuale degli abitanti favorevole si è ribaltata: prima era il 30, dopo due anni il 60”.
Città 30, ce le chiedono tutti
Secondo i 130 firmatari dell’appello, la “Direttiva sulla disciplina dei limiti di velocità nell’ambito urbano ai sensi dell’art.142 del nuovo codice della strada” del ministro dei Trasporti si pone anche in netto contrasto con quanto viene suggerito da istituti come l’Oms e il parlamento europeo, oltre che dal Piano della sicurezza stradale dello stesso Mit.
Non solo. L’Italia ha l’obbligo di perseguire gli obiettivi indicati da Onu, Oms, Ue, in particolare la riduzione del 50 per cento degli incidenti al 2030. “Tale obiettivo non può essere raggiunto senza poter intervenire con efficacia nell’ambito urbano – si afferma nell’appello -, dove in Italia si registrano i tre quarti degli incidenti stradali, con un tasso di mortalità che si mantiene costante ormai da un decennio, pari a 1,1 morti ogni 100 incidenti, e un costo economico che supera i 13 miliardi di euro all’anno”.
I dati non mentono
D’altra parte i dati non mentono. Degli incidenti stradali che nel 2022 in Italia hanno causato 223.435 feriti, di cui 15.900 gravi, e 3.150 morti, il 73 per cento è avvenuto nei centri urbani. In Italia si registrano 53 morti per incidente ogni milione di abitanti, in Gran Bretagna, il primo Paese in Europa a lavorare seriamente alle zone 30 (Londra apripista nel 1991) la media si abbassa a 26 vittime per milione. Lì oltre il 40 per cento dei bambini va a scuola a piedi, da noi siamo sotto il 7 per cento. Anche così si combatte la sedentarietà in un continente dove 1 bambino in età scolare su 3 è obeso o in sovrappeso (European Regional Obesity Report 2022, Oms).
“Se migliora la qualità dell’aria, il medico apprezza, se aumenta la mobilità dei bambini, apprezza il pediatra – prosegue Dondè -. Per non parlare della riduzione del rumore, che qui si affronta parlando degli uccellini di Bologna. La principale causa di morte dei giovani sotto i 29 anni è l’incidente stradale. Se non è un’emergenza questa”.
Cosa dice la scienza
A livello scientifico il limite di 30 km/h diminuisce drasticamente le percentuali di rischio di mortalità, non fa impiegare più tempo per spostarsi in ambito urbano (la velocità media nelle città europee è già molto bassa e non supera mai i 30), non fa inquinare di più (i motori benzina e diesel consumano e inquinano di più in fase di accelerazione e decelerazione), tutela anche i lavoratori, se si considerano i dati Inail che nel 2022 ha accertato 12.361 incidenti in itinere, di cui 9 mortali.
Strade libere per i soccorsi
Un’altra questione interessante, che sta suscitando mille polemiche, è quella dei mezzi di soccorso. A Parigi i pompieri qualche mese fa hanno pubblicato un articolo scientifico che dimostra come oggi riescano ad arrivare prima al punto di emergenza: grazie agli incentivi alla ciclabilità e al trasporto pubblico, i mezzi di soccorso si muovono meglio di prima. “In Europa si prova, si sperimenta e dopo sei mesi o un anno si tirano le somme – conclude l’urbanista -. Perché in Italia no?”.