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Questo reportage fa parte di Collettiva Academy, il progetto di collaborazione tra la redazione di Collettiva e gli studenti del corso di laurea in Media, comunicazione digitale e giornalismo dell’Università La Sapienza di Roma. Gli autori sono studenti che hanno partecipato al nostro laboratorio di giornalismo narrativo.
A Roma, quartiere Trastevere, si erge l’imponente edificio del Buon Pastore. Dentro, dal 1987, c'è la Casa Internazionale delle Donne. Quando ci entri per la prima volta non puoi fare a meno di guardarti intorno. L’ingresso è silenzioso, ma sorpassandolo trovi un lungo corridoio con pareti bianche dove sono appese decine di fotografie. Manifesti, colori, forme, scatti che raccontano un luogo di lotta, uno spazio di sole donne con una storia lunghissima. Le protagoniste hanno età diverse. Sono sedute attorno a un tavolo, in piedi a una manifestazione, stringono cartelli di protesta, si tengono per mano al centro di una piazza.
C’è poi un muro diverso da quelli che collezionano fotografie: un elenco interminabile di nomi e date che lo riempiono in ogni centimetro. Ricorda le donne uccise perché donne. Uccise per mano di uomini, partner, ex o sconosciuti. O meglio, ne ricordano solo una parte perché elencare tutte le vittime di femminicidio dal 1987 ad oggi sarebbe impossibile. Lo sarebbe per una grave mancanza di dati che ad oggi continua ad esistere e che rende complicata la comprensione delle dimensioni del fenomeno. Ma se anche i dati ci fossero, sarebbe impensabile citare tutti i nomi delle donne vittime di femminicidio in Italia, perché solo nel 2022 l’Istat stima che siano state 106: non esiste un muro così grande.
Un mondo di mondo di servizi
Le file di fotografie fronteggiano tante porte. La prima è quella della segreteria: sempre aperta, accoglie tutte. È a quella porta che si affacciano le Donne che entrano per la prima volta nella Casa. Lo fanno con discrezione, quasi simulando di essere capitate lì per caso, mascherando un interesse velato: “Buongiorno, è possibile avere qualche informazione su cosa fate qui? Ho un’amica che mi ha suggerito di passare”. È lì che si scopre il mondo di servizi e associazioni che abitano e animano la struttura: dietro le altre porte, infatti, ci sono psicologhe, avvocate, assistenti sociali e professioniste. Uno spazio fatto di donne. Uno spazio fatto per le donne.
La Casa Internazionale delle Donne è nata come luogo di resistenza da cui far partire una lotta che continua tutt’oggi. Nonostante i passi avanti fatti nel riconoscere le disparità strutturali che caratterizzano la società e che penalizzano le donne in svariati contesti, questi luoghi devono battersi quotidianamente per esistere. Gli sfratti, i tentativi di sfratto, i mancati finanziamenti e l’assenza generica di un supporto reale a questi centri sono solo i segni più evidenti di un Stato che non sostiene nemmeno formalmente le realtà che, facendo le sue veci, colmano enormi lacune in materia di assistenza.
Rosanna Marcodoppido, femminista e storica rappresentante dell’Udi romana La Goccia all’interno della Casa, esprime in questo senso un pensiero di sorellanza che fa intendere l’urgenza di luoghi delle donne: “L’unica strada per cercare di cambiare è stare insieme, stare in uno spazio separato. Questo era ed è assolutamente necessario”. È proprio da uno sfratto, quello da Palazzo Nardini nel 1987, che nasce la Casa Internazionale delle Donne di Roma. Ed è da un altro tentativo di chiusura che si è da poco difesa: anche l'amministrazione Raggi nel 2021 ha proposto la messa al bando dell’edificio.
In relazione
Queste sono difficoltà che gli spazi delle donne sanno di dover affrontare, sin da quando nascono, così come le donne che li animano. “La Raggi quando voleva chiuderci ci chiedeva 'perché dovete essere voi ad occupare questo posto?' Perché per noi l’approccio femminista è diverso: non è solo competenza, ma è la capacità di entrare in relazione di ascolto con un posizionamento femminista”, spiega Maura Cossutta, presidente della Casa dal 2019. La Casa è nata come consorzio e oggi ospita più di 30 associazioni che operano in vari ambiti, ma come ha evidenziato la presidente è molto di più: “Un servizio femminista che centra la qualità della sua metodologia nella relazione con le donne”.
Le energie sono focalizzate sulla peculiarità delle pratiche femministe, sull’ascolto che dev’essere libero e libero dai giudizi. La volontà che si persegue è quella di creare una rete, che è la loro “parola magica” perché significa “incontro, mettere insieme le similitudini e le differenze”. Con questi presupposti le associazioni che convivono all’interno della Casa offrono qualsiasi genere di supporto alle Donne e alle loro famiglie. Il pensiero di tutte è quello di creare un ambiente sano e sicuro che altrimenti tante Donne faticherebbero a trovare. Un ambiente pronto a rimodellarsi, ad adattarsi, ricucendo quelle crepe che la società sembra ignorare.
Un vuoto sistemico
“Il servizio dello Sportello sociale è stato inventato e pensato proprio con il Covid perché abbiamo visto tanta solitudine e volevamo offrire alle Donne un accesso libero, senza prenotazioni, gratuito, per tutte. Anche solo per venire a raccontarsi”. Maura Cossutta parla così del servizio dello Sportello sociale, un’esperienza nuova per la Casa. Un lavoro che inizia grazie ad un’osservazione attenta che non sottovaluta la solitudine, ma la segue per scoprirne il principio e la direzione. Ancora, quello che trova è un vuoto, ormai sistemico, a cui sopperire: “Può capitare che una donna si rivolga allo sportello per un problema che sembra familiare, ma in realtà cela una violenza subita”. E capita sempre più spesso: in un’audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, il Direttore centrale dell’Istat Saverio Gazzelloni ha rivelato che “nel 2023 le richieste ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, il 1522, sono state 51.713. Più 143% è la variazione rispetto al 2019, più 59% rispetto al 2022”.
Dopo tutti questi anni, l’edificio è vivo, pullula di eventi, manifestazioni, incontri di gruppo. Quest’apertura è il segnale più vero di una volontà di costruzione di un ambiente coinvolgente e culturale che parla a tutte. Come afferma la presidente, il termine internazionale non è casuale e non si sottrae alla sua responsabilità in un contesto geopolitico sempre più cruento. Già durante i primi mesi del conflitto russo-ucraino, la Casa Internazionale delle Donne di Roma, in coordinamento nazionale con tutti i luoghi delle donne e all’interno di una discussione femminista e politicizzata, “ha preso una posizione di opposizione alla guerra, ritenendola il prodotto più feroce del patriarcato”.
Allo stesso modo, dopo gli eventi dello scorso ottobre che ancora oggi sconvolgono la Striscia di Gaza con bombardamenti quotidiani, la Casa ha ospitato in un evento alcune giovani palestinesi con cui due anni prima aveva discusso la possibilità di creare una Casa delle Donne in Palestina. “Molte delle ragazze con cui avevamo avuto un contatto allora erano qui, molte sono state ammazzate”. Dunque è chiaro come la Casa sia un luogo politico, politicizzato, ma indipendente e non partitico, che vuole affrontare tutti quei temi divisivi che caratterizzano la società e i movimenti femministi stessi. Perché «un tempo con l’autocoscienza abbiamo costruito delle identità attraverso l’altra - dice Maura – e adesso la necessità di una profonda percezione femminista non è cessata”.
Lottando
L’edificio del Buon Pastore nel 1600 era un reclusorio, un luogo in cui il paternalismo e la vergogna privavano della libertà quelle donne che volevano autodeterminarsi in comportamenti che eccedevano il dettato patriarcale. Adesso è un luogo di riscatto dal dolore e dalla sofferenza passate. È un luogo i cui corridoi dalle lunghe pareti bianche, e adornati da momenti passati e presenti, portano al cuore simbolico e materiale. Portano al cortile circondato da basse siepi e protetto da una straordinaria magnolia. La magnolia, come la Casa, è viva. Ha radici profonde e robuste che le permettono di essere ancora oggi rigogliosa. Di rinnovarsi, ogni qual volta che il tempo lo richiede. Ma per rinnovarsi, bisogna saper intuire quando resistere e quando battersi. Alla domanda “Come vedi il futuro?” Maura Cossutta ha risposto con una sola parola, un verbo in divenire: “Lottando”.