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Forse devo cominciare a preoccuparmi, perché stavolta sono d’accordo con la ministra Azzolina: di didattica a distanza per ora non se ne parla, anche se a spingere, soprattutto nella secondaria di secondo grado, in molti casi sono proprio gli studenti.
Si capisce da certe frasi, e dal messaggio ingenuo di una mia studentessa che arriva sul telefonino in serata: “Prof scusa ma si va a scuola domani perché mi hanno inviato questo”. Non soffermatevi sul fatto che abbia il mio numero di telefono, conseguenza inevitabile dei mesi di didattica a distanza, né che nel suo testo manchi del tutto la punteggiatura. Ci stiamo lavorando.
Quello che colpisce è l’altro messaggio che mi allega a cui lei fa riferimento, circolato alla velocità della luce tra le chat studentesche, che invita al primo di una serie di scioperi “finché non cambierà qualcosa o almeno non otterremo la chiusura delle scuole”, e che finisce chiedendo di far girare la comunicazione a qualsiasi istituto. Si intuisce che chi l’ha scritto non è un alunno di terza media, la classe della mia studentessa, ma qualcuno delle superiori che tenta di coinvolgere anche i più piccoli dentro un’iniziativa sconclusionata ma ben mirata, con l’obiettivo finale di far chiudere le scuole.
A queste iniziative, alla confusione generale che si respira, noi adulti siamo chiamati a dare delle risposte. E allora perché non provare con una proposta che disegni nuovi scenari, che spiazzi gli studenti stessi, al limite della provocazione?
Proviamo a dire che se c’è bisogno di tornare alla chiusura di luoghi e spazi, l’ultima a chiudere sarà proprio la scuola. Anzi, la scuola non la chiudiamo proprio, a parte quelle classi in cui non si certifichino casi di positività, per le quali verrà applicato il protocollo sanitario previsto. Si potrà ritornare alla sospensione di altre attività arrivando, solo per un paio di settimane, anche a un secondo lockdown, ma le scuole restano comunque aperte. Anzi, a parte i cosiddetti servizi essenziali, teniamo aperte solo le scuole. Proviamo a immaginare.
Per due settimane la mattina i mezzi di trasporto saranno un servizio dedicato solo a chi deve recarsi a scuola, per gli altri automobile, per chi può smart working ogni giorno; inoltre, in questo modo, molti genitori sarebbero in grado di seguire meglio i propri figli in un momento ancora delicato, anche da un punto di vista psicologico. Ma questo è un altro discorso, da affrontare presto.
Al suono dell’ultima campanella stessa scena, e tutti a casa. Il resto della giornata scorre tranquillo, tra smartphone compulsivo e qualche compito da fare, magari collegandosi sulla piattaforma con il professore, non come didattica a distanza bensì per approfondire quanto fatto la mattina in presenza, sempre che i docenti siano disponibili a un supplemento di lavoro non retribuito. La sera una corsetta, un po’ di stretching in salone, cena in famiglia, un bel libro prima di dormire, e ci vediamo domani. Giusto per un paio di settimane, poi facciamo i conti.
Chissà, potremmo trovarci di fronte alla sorpresa di calcolare qualche contagio in meno e qualche lezione in più, riuscendo così anche a recuperare parte di quella didattica non svolta tra marzo e giugno. Una provocazione, appunto, ai limiti dell’utopia. Sarebbe curioso vedere l’effetto che fa.