Mai così tanti giornalisti arrestati o uccisi nel mondo. Il 2024 è stato un anno orribile, come conferma purtroppo il caso di Cecilia Sala, detenuta nel carcere iraniano di Evin dal 19 dicembre, e il cui arresto è stato stato confermato ufficialmente da Teheran "per aver violato le leggi della Repubblica Islamica". Questo riporta l'agenzia di Stato iraniana, l'Irna, senza fornire ulteriori dettagli e citando una dichiarazione del Ministero della Cultura di Teheran.

CECILIA SALA E GLI ALTRI

Il nome di Sala non è neanche l’ultimo della lunga lista di giornalisti detenuti o uccisi. Dopo il suo arresto, cinque cronisti palestinesi sono morti bruciati nel loro furgone parcheggiato di fronte all’ospedale Al-Awda, nel campo profughi di Nuseirat al centro della Striscia di Gaza. 

I CINQUE GIORNALISTI PALESTINESI UCCISI

Lavoravano per il canale televisivo Al-Quds Today, che ha denunciato l’ennesima carneficina nei confronti dei giornalisti palestinesi. Dal canto suo, l’esercito israeliano ha dichiarato che l'attacco mirava a "un veicolo con una cellula terroristica della Jihad islamica" a bordo.

LA FNSI: LIBERARE SUBITO CECILIA

Nel caso di Cecilia Sala, si è in attesa di capire perché sia stata arrestata, dal momento che l’Iran non ha ancora reso noti i capi di imputazione. La Federazione nazionale della Stampa italiana è intervenuta sulla vicenda della collega italiana, dichiarando di aver attivato tutti i propri contatti per conoscere le condizioni e la situazione della giornalista e chiedere che Cecilia Sala sia rimessa immediatamente in libertà.

USIGRAI: BASTA INTIMIDAZIONI

“Il regime di Teheran – ha scritto invece il sindacato dei giornalisti Rai – deve liberare Cecilia Sala; è solo una giornalista che fa il suo lavoro con dedizione e passione. Ogni altra ragione per trattenere in carcere la nostra collega è solo un modo per intimidire chi liberamente fa informazione. Chiediamo al governo italiano il massimo impegno per l'immediato”.

FDJ: I CRONISTI NON SONO MERCE DI SCAMBIO

Al coro di voci, si aggiunge anche quella della Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj), che ha chiesto alle autorità iraniana di liberare immediatamente e incondizionatamente la cronista del Foglio e Chora Media. “Deploriamo la strategia iraniana di imprigionare i giornalisti stranieri per ottenere qualcosa in cambio. La nostra collega italiana – ha dichiarato il segretario generale della Ifj, Anthony Bellanger – è l'ultima vittima di questa macabra pratica”.

QUANDO LA SCRITTA PRESS É UN BERSAGLIO 

Giornalisti arrestati o morti mentre stavano facendo il loro lavoro: essere nel posto in cui le cose accadono, per poterle raccontare. Morti sul lavoro, anche loro. Una conta che nel 2024 ha toccato punte estreme (776 da gennaio a settembre, secondo quanto registrato dall’Inail). La scritta Press su furgoni, cartellini e giubbotti antiproiettile nasce per essere un lasciapassare. Ma sembra diventato un bersaglio da colpire.

UkrInform/Avalon/Sintesi
UkrInform/Avalon/Sintesi
UkrInform/Avalon/Sintesi (UkrInform/Avalon/Sintesi)

104 GIORNALISTI UCCISI NEL 2024

Sono 104 i giornalisti uccisi in tutto il mondo nel 2024, di cui la metà a Gaza, secondo quanto documentato dall’Ifj. Ma se si considera tutto il periodo a partire dal 7 ottobre 2023, data dello scoppio della guerra tra Israele e Hamas, la cifra sale a 141 giornalisti uccisi nella Striscia, in Cisgiordania e in Libano, come riportato dal Commetee to Protect Journalists (CPJ). Cifre che rendono la regione una delle "più pericolose nella storia del giornalismo moderno, dopo Iraq, Filippine e Messico". Una tra le tante, in cui purtroppo fare informazione significa rischiare quotidianamente la vita.

I PAESI PIÙ PERICOLOSI PER I GIORNALISTI

Dopo il Medio Oriente, la seconda regione più pericolosa per i giornalisti è l'Asia-Pacifico con venti morti, di cui sei omicidi in Pakistan, cinque in Bangladesh e tre in India. In Europa, "la guerra in Ucraina ha causato ancora vittime nel continente – illustra il rapporto dell’Ifj – con quattro giornalisti uccisi nel 2024, dopo i tredici del 2022 e i quattro del 2023”. Il Messico, considerato uno dei luoghi più rischiosi al mondo in cui fare giornalismo, continua a registrare "minacce, intimidazioni, rapimenti e omicidi, in particolare a causa di servizi sul traffico di droga”.

MORIRE RACCONTANDO

Un altro rapporto dell'ong Reporter senza frontiere (Rsf) riporta 54 vittime, ma la metodologia include solo le uccisioni considerate "direttamente collegate" all'attività professionale dei giornalisti. Di fronte a questi numeri, tuttavia, risulta davvero difficile fare un esercizio di distinzione, caso per caso, delle ragioni della loro morte. Che sia cioè accaduta in maniera “accidentale” – per esempio per l’esplosione di un ordigno – o proprio perché stavano documentando cose che non dovevano essere raccontate. Il punto vero è che siano morti raccontando e proprio perché lo stavano facendo, in maniera fortuita o intenzionale.

520 CRONISTI DIETRO LE SBARRE

L’altro dato allarmante riportato dall’Ifj è quello che riguarda i giornalisti detenuti in carcere in tutto il mondo: ben 520 a dicembre 2024. Per l’esattezza 521, contando anche Cecilia Sala. In forte aumento rispetto al 2023 (427) e al 2022 (375). La Cina e Hong Kong detengono la maggior parte dei giornalisti dietro le sbarre, seguiti da Israele e Myanmar. Le cifre mostrano quanto sia "fragile la stampa indipendente – commenta la Federazione – e quanto sia diventata rischiosa e pericolosa la professione giornalistica”.

NON SPARATE AL CRONISTA

“Non sparate al pianista” recitava la frase scritta sulle pareti o sui cartelli nei saloon del Far West, dove il pianista veniva assunto per allietare i clienti, che però spesso scatenavano risse nei locali, non risparmiando di esplodere colpi di pistola. “Non sparate sul cronista” dovremmo scrivere sui muri oggi, in questo nuovo Far West in cui ci sembra di vivere.

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