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Crescono le persone in carcere e resta alto il tasso di affollamento. Si commettono meno omicidi, ma aumenta la recidiva dei detenuti. I reati sono in leggera ripresa ma sempre in calo rispetto al 2019. Il nuovo rapporto sulle condizioni di detenzione di Antigone, l’associazione che dal 1998 entra con i suoi osservatori negli istituti di pena per monitorare la situazione, fotografa un sistema carcerario italiano che non riesce a rispondere al dettato costituzionale secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27).
Lo spiegano molto chiaramente i numeri. Il nostro Paese conta 54.609 detenuti, con un tasso medio di affollamento ufficiale del 107,4 per cento. Ufficiale perché nei fatti a causa di piccoli o grandi lavori di manutenzione, e la conseguente chiusura di sezioni, la capienza reale degli istituti è spesso inferiore. Il dato in alcuni casi tocca punte insostenibili: in Puglia si registra il 134,5 per cento, in Lombardia il 129,9, a Varese il 164 per cento, a Bergamo e Busto Arsizio il 165, a Brescia al Canton Mombello addirittura il 185 per cento. In pratica, quasi dappertutto non viene rispettata la soglia minima di 3 metri quadrati a persona stabilita per legge, al di sotto della quale per la Corte europea dei diritti dell’uomo il trattamento è inumano o degradante.
“Il sovraffollamento impedisce la presa in carico individuale della popolazione carceraria – afferma Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone -. Lo vedi anche dal numero dei suicidi, 21 nei primi quattro mesi di quest’anno, 62 nel 2020, 57 nel 2021. Il tasso è 13 volte superiore rispetto alla popolazione libera: 0,67 casi ogni 10 mila abitanti fuori dal carcere, 8,7 ogni 10 mila dentro. Non voglio banalizzare la sofferenza di persone che hanno scelto di togliersi la vita, dietro cui c’è sicuramente una grande sofferenza alla quale però contribuiscono le condizioni di vita. Questa disperazione non viene intercettata da un sistema che è sovraccarico e distratto. In carcere c’è un educatore ogni 85 detenuti, in alcuni casi ogni 200. Sia ben inteso, secondo noi la soluzione non è costruire altre carceri”.
E ancora: il 62 per cento dei detenuti ha più di un’esperienza di carcerazione alle spalle, il 18 per cento ne ha più di 5, solo il 38 per cento è alla prima detenzione. In media ogni carcerato ha commesso 2,37 reati, mentre nel 2008 il numero di reati “pro capite” era inferiore a 1,97. Tradotto: è salito il tasso di recidiva. E mentre la percentuale cala per gli stranieri, sale per gli italiani, elemento che ha del paradossale, considerato che i percorsi di reinserimento sociale potrebbero essere più facili per gli autoctoni.
“Se vogliamo vedere il carcere per quello che dovrebbe essere, e cioè uno strumento che deve riportare la persona nella società, in realtà riscontriamo che la riporta di nuovo dietro le sbarre con estrema facilità – prosegue Marietti -. Dunque non svolge la sua funzione precipua, non agisce come dovrebbe e andrebbe ripensato. I tassi di recidiva ci raccontano di un modello che ha bisogno di importanti interventi, di aperture al mondo esterno, puntando sulle attività lavorative, scolastiche, ricreative e abbandonando la sua impronta securitaria. La repressione penale infatti prende sempre di più il posto di quelle che dovrebbero essere soluzioni di welfare”. Che significa: politiche sociali, del lavoro, sanitarie, di housing organiche e complesse, che potrebbero diminuire la platea delle persone papabili per il carcere. “Un vero Stato sociale è quello che previene il danno e non aspetta che si crei per porvi rimedio – rincara Marietti -. Poi c’è tutto il tema della tossicodipendenze, che andrebbero tolte dall’ambito penale”.
Tornando ai dati, ben 19.478 detenuti devono scontare una pena residua pari o inferiore a 3 anni. “Un numero enorme” si legge nel rapporto di Antigone, “se si considera che una gran parte di loro potrebbe usufruire di misure alternative”, che di fatto allenterebbero la pressione sugli istituti di pena e potrebbero accompagnare i detenuti al reinserimento nella società. “Ogni pena che finisce in carcere fino all’ultimo giorno è una sconfitta del sistema – dice la rappresentante di Antigone -. Studi sul tema hanno dimostrato che la recidiva sia molto più alta tra coloro che hanno scontato tutta la pena in carcere rispetto a chi ha usufruito di misure alternative. È del tutto evidente. Se ti sei fatto dieci anni di carcere e dopo due lustri ti aprono le porte e ti mettono sulla Tiburtina con il tuo sacchetto di plastica, quante possibilità hai di tornare a delinquere e quindi dentro? Tante”.
La misura alternativa in esecuzione di pena permette invece una vera emancipazione. Alla fine il rapporto di lavoro si potrebbe trasformare in un contratto di assunzione. La stessa logica, legata alla prevenzione, al recupero e al reinserimento, è alla base della formazione professionale che nelle carceri italiane però è pressoché inesistente. “In più di un terzo degli istituti che abbiamo visitato non c’era nessun corso professionale attivo. Il totale nazionale parla del 3 per cento dei detenuti coinvolti, in ogni caso con pochissimi sbocchi perché non ci si preoccupa di raccordarsi con il mondo esterno delle aziende” racconta Susanna Marietti.
Funziona così: se capiti in un carcere dove il direttore ha spirito manageriale e crea collegamenti con gli imprenditori sul territorio, hai qualche opportunità, altrimenti niente. Su 54.600 detenuti, solo 2.300 lavorano per datori esterni. E per lo più fanno lavoretti, assemblaggio di componenti per mobili e simili, attività senza sbocchi. “Così non si garantisce nessuna indipendenza economica. La commissione messa in piedi dalla ministra della giustizia Marta Cartabia ha fatto una proposta intelligente – conclude Marietti -: creare unità regionali per il lavoro penitenziario, mettere cioè allo stesso tavolo unità penitenziarie, assessorati, associazioni imprenditoriali e cooperativistiche, per creare una regia unitaria, affinché ci si prenda in carico le singole storie, le singole persone. Un’idea che a nostro parere andrebbe portata avanti”.