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La chiamano riforma, e forse a modo suo lo è. Ma certamente nel senso di arretramento rispetto a quanto prescritto dalla Costituzione. Arriva in aula al Senato alle 16.30 di oggi, martedì 16 gennaio, il testo del Disegno di legge n. 615 firmato Calderoli dal titolo “Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione”. Da tenere presente che dal punto di vista formale si tratta di un collegato alla manovra di finanza pubblica, perché diversamente da quanto troppo spesso si dica, il nocciolo della questione, almeno uno dei principali, sta proprio qui: dove deve andare la raccolta fiscale. Come se non bastasse, governo e Senato hanno deciso che la discussione su una materia così complessa e decisiva per le finanze del Paese, per la vita democratica e sociale dei cittadini e delle cittadine, non potrà durare più di tre giorni. Il testo, infatti, dovrà essere licenziato da Palazzo Madama per passare all’esame della Camera il 19 gennaio.
Novità pesanti
Dieci articoli per dare attuazione al terzo comma dell’art. 116 della Costituzione così come riscritto nel 2000 all’interno della riforma del Titolo V della Carta. Ciò significa che ciascuna regione a statuto ordinario potrà chiedere di decidere in autonomia su ben 23 materie.Tra queste: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
La repubblica delle disuguaglianze
La pandemia lo ha dimostrato già allora – quando il disegno di legge sull’autonomia ancora non esisteva – che il diritto alla salute, come quello all’istruzione o quello alla mobilità, non fossero affatto ugualmente esigibili nei diversi territori. Basti pensare alla migrazione sanitaria tra regioni per poter accedere alle cure. O alla diversa disponibilità di posti negli asili nido tra Nord e Sud o, ancora, alla possibilità del tempo pieno tra Campania ed Emilia Romagna. Qualora quel testo venisse approvato dal Parlamento le cose peggiorerebbero e di molto. Il comma 2 dell’articolo 8 del testo Calderoli, infatti, stabilisce che per finanziare sanità, asili, eccetera, si deve far riferimento ai finanziamenti standard, cioè a quanto si spende oggi per quei servizi nei diversi territori. Ciò significa che in Sicilia o in Calabria, dove gli asili nido sono pochissimi, si continuerà a spendere la stessa cifra di oggi. Insomma, altro che occasione di sviluppo per il Sud: si fotografa la situazione e la si perpetua all’infinito. Aggravandola inevitabilmente.
Livelli essenziali delle prestazioni
Se sanità, istruzione, mobilità sono diritti che secondo Costituzione devono essere uguali su tutto il territorio, allora dovrebbero essere ugualmente finanziati ed esigibili. Vanno quindi definiti e in quantità, costi e relativi finanziamenti. Per tacitare la polemica su divari e diseguaglianze, il ministro Calderoli istituì una Commissione per l’identificazione dei Lep e relativi finanziamenti. Il disegno di legge avrebbe dovuto arrivare solo dopo la conclusione dei lavori della Commissione, così da prevedere l’adeguato finanziamento delle prestazioni sociali. Peccato che la Commissione non ha concluso il suo compito a causa delle dimissioni di alcuni componenti e impraticabilità del campo.
Le clausole finanziare
Il comma 1 dell’articolo 8 del disegno di legge è chiaro: “Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. E se si leggono queste parole assieme a quelle sui costi standard – sommati a quelli che dicono che per ciascuna materia saranno devoluti alla Regione che ne fa richiesta anche risorse umane, strumentali e finanziarie – il gioco è fatto ed è chiaro. Le regioni ricche avranno di più, le altre si arrangino. Tanto più che i livelli essenziali delle prestazioni non sono e non saranno definiti.
Questione democratica
Mentre la Costituzione afferma che la Repubblica è una e indivisibile, l’autonomia secondo Calderoli prevede che la decisione di devolvere materie, funzioni e risorse alle singole regioni sia una sorta di patto tra governo nazionale e governi regionali, senza che Parlamento e consigli regionali possano emendare o correggere. Al più potranno ratificare le intese pattuite tra presidente del Consiglio, ministro delle Autonomie e presidente di Regione. E la durata dell’intesa sarà definita dall’intesa stessa. Tutto ciò con buona pace della sovranità che appartiene al popolo e della partecipazione democratica nei processi decisionali. E pazienza che l’autonomia differenziata chiesta da Lombardia o Veneto riguardi eccome i cittadini e le cittadine delle altre regioni.
Chi non è d’accordo
Costituzionalisti, giuristi, economisti, sindacati a partire dalla Cgil, associazioni e movimenti, cittadine e cittadine: in tanti ritengono che questo testo sia davvero sbagliato. “In un Paese che già soffre di un livello drammatico e crescente di disuguaglianze sociali e di divari territoriali, l’ultima cosa che serve è un’autonomia differenziata che allarghi ulteriormente questi squilibri”, ha detto la Cgil durante la sua audizione in Commissione al Senato: “Si vuole attuare il ‘regionalismo asimmetrico’ prima di aver realizzato il ‘regionalismo simmetrico’, che non può prescindere da un’effettiva perequazione tra territori con maggiore e minore capacità fiscale”. La confederazione di corso d’Italia insiste da tempo per una perequazione tra territori, ma proprio in questi giorni il governo Meloni ha azzerato il Fondo che quei divari avrebbe dovuto cominciare a colmare.