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“Operaio metalmeccanico ho scelto di esserlo. Ma le mie radici sono contadine - raccontava di sé Antonio Pizzinato -, come lo erano quelle della maggior parte degli operai italiani nel secolo scorso. Sono nato nel Basso Friuli, a Fiaschetti, frazione di Caneva (...) Quasi a ridosso del fiume, sull’argine destro c’è una tipica casona di campagna, a forma di elle. Il cortile è ampio, vi si affacciano cinque abitazioni, più le stalle. Come recita anche la cartina geografica è il “curtivo dei Pizzinat”, il posto (o più precisamente la corte) dove sono nato, l’8 ottobre 1932 e dove ho passato i primi quattordici anni della mia vita”.
Fra i paesi alle pendici di Pian del Cansiglio, Antonio vive la sua esperienza di ragazzino coinvolto dalla guerra e dalla Resistenza. Nel 1947 emigra a Milano, dove nell’aprile dello stesso anno viene assunto come apprendista alla Borletti di via Washington. Nello stesso anno si iscrive alla Fiom e nel 1948, subito dopo l’attentato a Togliatti, entra giovanissimo nel Pci.
“Per la mia vita è uno spartiacque - racconta sempre Pizzinato -. È il momento della scelta. Ancora in preda allo sdegno e alla collera presento la mia domanda di iscrizione al Partito comunista italiano, anche se nessuno me lo aveva mai chiesto. La cosa, allora, non era tanto semplice. Bisognava compilare un’autobiografia - al Partito non si mente! - ed essere presentati da due iscritti che controfirmassero sia la domanda che l’autobiografia (...) La risposta tarda. Solo in autunno il comitato di fabbrica del partito discute la mia domanda. Vengo reputato troppo giovane. Mi invitano a iscrivermi al Fronte della gioventù, un’organizzazione giovanile di massa fondata durante la Resistenza da Eugenio Curiel ed egemonizzata dai giovani comunisti. Otterrò la tessera di comunista solo nel 1949, quando verrà fondata la Federazione giovanile comunista italiana (Fgci)”.
Nel 1954, concluso il servizio militare di leva, Antonio è eletto nella Commissione interna della Borletti. Ma ben presto il suo impegno sindacale vede aumentare il raggio d’azione. Dopo quattro anni in Urss e una breve parentesi napoletana nel 1962 è nella Fiom provinciale di Milano. Nel 1964 è eletto nel Comitato centrale della Fiom e dall’anno successivo diventa il responsabile dei metalmeccanici di Sesto San Giovanni, entrando a far parte della Segreteria provinciale. Mantiene l’incarico fino al 1975, quando viene chiamato a dirigere l’Ufficio sindacale della neonata Flm e diventa segretario generale della Fiom provinciale.
“Ho iniziato alle officine Borletti, come operaio specializzato - raccontava recentemente in una bella intervista - Da lì in avanti nella Fiom, fino a esserne segretario provinciale della federazione. Lì si è formata la classe operaia, lì le migliori lotte dell’emancipazione. E quel soggiorno in Unione Sovietica mi servì. Un sindacalista deve conoscere il sudore del reparto presse, deve capire le angustie di essere nei turni più faticosi e conoscere i processi di innovazione tecnologica. Io feci l’accordo alla Falk per le quaranta ore settimanali. Riducemmo l’orario di lavoro, conquistammo in modo definitivo le ferie e allargammo a un quarto turno la catena di montaggio, quindi aumentammo l’occupazione. Però dovemmo accettare il lavoro continuo: 363 giorni su 365. Domeniche incluse”.
Nel 1977 entra a far parte del Direttivo nazionale della Cgil e nel 1979 viene eletto segretario generale della Camera confederale del lavoro di Milano, quindi - a partire dal maggio del 1980 - è membro della Segreteria regionale della Cgil Lombardia. Nel 1981 lascia la Camera del lavoro per dedicarsi a pieno tempo alla direzione della Cgil regionale. Tre anni più tardi, nel luglio del 1984, è eletto nella Segreteria nazionale della Cgil (vi rimarrà fino al 1991). Nello stesso anno, diventa giornalista pubblicista.
Quando al Congresso del marzo 1986 Luciano Lama lascia la Cgil, Antonio Pizzinato è eletto segretario generale. “Ringraziai i compagni ma chiesi comprensione - racconta lui stesso - Non ero preparato a quell’incarico e lo dissi: mi serviva un po’ di tempo per formarmi meglio. I compagni rifiutarono. Mi dissero che avrei dovuto accettare senza se senza ma. E così feci”. Nel novembre del 1988 Antonio rimette il mandato: a succedergli è Bruno Trentin.
Nel 1992 è eletto deputato, nel 1994 consigliere comunale a Sesto San Giovanni e nel 1996 senatore, ricoprendo l’incarico di sottosegretario al Lavoro nel primo governo Prodi. Nel 2007 è eletto presidente regionale dell’Anpi Lombardia, di cui è tuttora presidente onorario. “È sempre bello aprire la sezione - diceva poco tempo fa - Ogni mattina, fino a dicembre scorso, andavo all’Anpi della mia città, Sesto San Giovanni. Avevo le chiavi, alzavo la serranda. Mi mettevo lì dopo essere passato dall’edicola”.
“La militanza - diceva - è uno spirito che ti resta in corpo e non ti lascia più. È una febbre e non c’è antibiotico che scacci l’intruso come non c’è delusione che appanni la passione. Gli incarichi, anche quelli più umili come sicuramente lo è infilare le chiavi nella serratura ogni mattina, non li giudichi per la loro consistenza ma per il senso che hanno. È il valore politico di un gesto: aprire la casa dei partigiani, che sia inverno o estate. Che si abbia venti o novant’anni”. Perché Antonio Pizzinato è così: un uomo gentile, educato, pulito e corretto, mai polemico o rancoroso, anche quando forse, ne avrebbe potuto avere le ragioni. Un uomo d’altri tempi gentile con chiunque, militante, partigiano. Un uomo, prima che un politico o un sindacalista, ‘di classe’, in tutti i sensi, al quale vogliamo bene e al quale non possiamo fare altro che augurare duecento di questi giorni.