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Tragedia amianto. Nel silenzio generale i sindacati continuano la loro battaglia. Un paradosso. Tanto drammatico, quanto invisibile, a giudicare dalla scarsa attenzione che riceve a livello istituzionale. Invisibile come le fibre di minerale nell’aria a cui nei decenni centinaia di migliaia di italiani sono stati esposti. Lavoratori e cittadini. Spesso inconsapevoli. Spesso costretti a chiudere gli occhi davanti al ricatto salute lavoro. Fino a quando una legge dello Stato, la numero 257 del 1992, non mise al bando l’asbesto e i suoi manufatti. Un punto d’arrivo dopo lunghe battaglie, si pensava allora.
Eppure oggi siamo ancora al punto di partenza. In 29 anni gli oltre 400 atti normativi varati sul tema a tutti i livelli hanno generato solo confusione. L’obbligo di adottare piani regionali sul processo di bonifica è ancora lettera morta nel Lazio e nella provincia autonoma di Trento. A trent’anni di distanza dal varo di quella legge, la mappatura delle zone da bonificare è incompleta. Interi territori non hanno alcuna idea di quanto materiale killer sia lì a deteriorarsi e a disperdere fibre nell’aria. Dalle tubature dei condomini ai rivestimenti edili di scuole e ospedali, alle onduline di cui sono disseminate le nostre campagne, alle fabbriche dismesse, ai cosiddetti siti orfani, contaminati e poi abbandonati. Il conto che potrebbe salvare migliaia di vite è finito su un binario morto come i tanti vagoni ferroviari che aspettano da anni una bonifica che non arriva mai. E intanto cintinuano a sgretolarsi e a disperdere polvere nell'aria.
Il dato ufficiale non c’è: il più credibile potrebbe essere un numero compreso tra 20 e 30 milioni di tonnellate di amianto da smaltire. Ma c’è chi parla di 40 e chi arriva a 50. Quello che è certo è che ogni anno continuano a morire migliaia di italiani, per i quali la subdola latenza del male, che spesso resta silente per 20 o 30 anni, rendendo più complicato ricostruire i fatti, si manifesta inaspettata e violenta portandoli al decesso per mesotelioma. Un male spesso dimenticato o addirittura sconosciuto, che affoga rapidamente i polmoni nel liquido e uccide per asfissia atroce e dolorosa in modo non dissimile, ironia della sorte, al più celebre e temuto Covid.
Quella dell’amianto nei decenni è stata spesso scambiata, anche da chi ne conosce la pericolosità, per una storia locale. Per la battaglia degli abitanti di Casale Monferrato, la capitale della fabbrica Eternit, in provincia di Alessandria. O per le macerie della fabbrica di Bagnoli, il quartiere di Napoli. Eppure le grandi città sono ancora oggi piene di amianto. Stazioni, porti, edifici pubblici, nonostante le bonifiche, sono stati costruiti con questo materiale resistente e malleabile, duttile al punto che, nel secolo scorso, veniva usato senza risparmio.
A discuterne e a lanciare il sasso nello stagno sono state ancora una volta Cgil, Cisl e Uil. Che negli anni non hanno mai smesso di darsi da fare, di fare pressioni sulle istituzioni affinché questa tragedia nazionale ricevesse l’attenzione che merita. Le confederazioni hanno lottato perché alle vittime dell’amianto, i morti, i familiari, gli ammalati, lavoratori o cittadini, venisse riconosciuto un risarcimento adeguato. Molto più alto di quanto viene concesso, ad oggi, dalla normativa vigente. Hanno combattuto perché sul territorio si porti a compimento la mappatura e la conseguente bonifica della fibra killer. Per ripulire il Paese da ogni rischio correlato alla presenza di asbesto. Perché la polvere, quella d’amianto, è sopra il tappeto, eppure in tanti fanno finta di non vederla.
“In settimana, in vista del 28 aprile, la giornata dedicata alle vittime dell’amianto, abbiamo fatto il punto, in due tavoli virtuali, confrontandoci con le nostre strutture territoriali e con le associazioni dei familiari delle vittime”. A raccontarcelo è Claudio Iannilli della Cgil. “Al centro della discussione tutti gli elementi principali di questa battaglia. Dalla necessità di rilanciare le piattaforme regionali alla riforma del fondo nazionale. All’iniziativa da mettere in campo per il 28 aprile che vorremmo diventasse un punto di partenza per l'avvio di un'azione di contrasto al pericolo derivante da questo materiale e il primo passo verso la quarta conferenza nazionale sull’amianto”.
Quali le priorità? “Prevenzione e sorveglianza sanitaria, con puntuale programmazione – ci spiega Antonio Ceglia della Uil –. Per farlo è importante ripartire dal territorio e realizzare le piattaforme regionali. La riforma del fondo. Un maggiore supporto ai rappresentati dei lavoratori per la sicurezza, gli Rls e Rlst, i quali svolgono un ruolo fondamentale nelle aziende, affinché nella contrattazione sindacale e territoriale, sia sempre prevista l’attivazione di queste figure di rappresentanza nell’azione di verifica della presenza di amianto nelle fabbriche, al fine di realizzare prevenzione e controllo, coinvolgimento per la stesura del documento di valutazione dei rischi, attivando i processi di bonifica e le segnalazioni ai servizi di vigilanza. Sulla partita ambientale chiediamo che ogni regione si doti di una discarica in grado di raccogliere almeno tutto l’amianto disseminato nel proprio territorio, per smetterla con i trasporti da una regione all’altra. Altro tema importante, la creazione di siti di stoccaggio temporanei nei comuni e il coinvolgimento dei cittadini”.
Il fondo nazionale vittime amianto resta senz’altro uno strumento decisivo per riaffermare un principio di giustizia nei confronti di chi ha perso un familiare per una malattia asbesto correlata. A che punto siamo? “Il nostro fondo presenta delle criticità e va ripensato – ci spiega Sara Autieri della Cisl –. Vorremmo partire da una proposta condivisa dai diversi soggetti che ne fanno parte: sindacati, Confindustria, Inail, associazioni delle vittime. Dopo 10 anni dall’attivazione ci sono anche punti di forza: soprattutto grazie alla nostra azione, ci sono state modifiche migliorative a tutela delle vittime, come la stabilizzazione dell’una tantum nel 2015 di 10 mila euro. Una modifica voluta dal sindacato. Tra i punti critici, effettività e consistenza del risarcimento. Il faro resta il modello francese: nel 2019 la dotazione del loro fondo era di 368 milioni di euro, quella del nostro, ad oggi, con l’ultima Legge di Bilancio, arriva al massimo a 48 milioni”.