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Questa è la terza tappa di un viaggio, che ci auguriamo non breve, tra storie di inclusione, resistenza e disobbedienza civile. Storie di persone, istituzioni, associazioni e sindacati che compongono un'Italia diversa. Perché a fare da contrappeso al razzismo strisciante che trapela dalla comunicazione e dagli atti istituzionali del governo giallo-verde non c'è solo l'accoglienza stroncata a Riace. C'è anche un'Italia che resiste, giorno dopo giorno, all'odio contro i migranti riversato sui social network da migliaia di account, veri o falsi che siano. Un'Italia che dice no. Un pezzo di Paese che spesso non ha voce, che non trova quasi mai spazio nei talk show televisivi, nei "trend topics", o sulle prime pagine dei quotidiani. Eppure c'è, e si dà da fare. Sempre nel rispetto dei princìpi della Costituzione.
Prima tappa: Saluzzo, la stagione dell'integrazione
Seconda tappa: Catania, la casa dei migranti
Era il 28 febbraio 2018. Il famigerato Burian, il vento siberiano che stava sferzando l’Europa intera, colpiva duro anche in Italia portando gelo e neve un po’ ovunque. A Ventimiglia, al confine con la Francia, la situazione s’era fatta davvero critica. Fu allora che la Camera del lavoro cittadina aprì le sue porte ai migranti accampati lungo il greto del fiume Roja, per offrire loro un riparo contro il freddo. Circa tre anni prima, i telegiornali italiani avevano dato ampio risalto alle immagini di uno squadrone di gendarmi che trascinava via di peso un gruppo di disperati accampati sugli scogli a pochi metri dal confine franco-italiano. Attesa vana, evidentemente. La Francia, proprio nel 2015, aveva ripristinato i controlli ai confini in deroga alle regole Ue sulla libera circolazione nell'area Schengen. Era la risposta transalpina agli attentati di Parigi del 13 novembre. L’abrogazione è stata prorogata più volte. In teoria doveva scadere alla fine di ottobre 2018, ma è stata prolungata per altri sei mesi, almeno fino al 30 aprile di quest’anno. Per il resto di Ventimiglia si è parlato davvero poco. Ogni tanto è apparsa qualche notizia su casi di respingimenti più o meno ortodossi da parte della gendarmerie, con conseguenti scaramucce tra il presidente francese Macron e il neoministro degli interni italiano Matteo Salvini. Poi, il silenzio.
UNA FRONTIERA IN MEZZO ALL’EUROPA
Eppure la frontiera è ancora lì, invalicabile per alcuni, come un muro invisibile che tronca perpendicolarmente gli aspri dirupi a picco sul mare e che dilata a dismisura la manciata di chilometri che dividono Ventimiglia da Mentone, primo comune francese oltreconfine. E ancora qui sono i migranti, a centinaia, che aspettano pazienti il calare del sole per provare a passare dall’altra parte, in qualche modo. Sono sbarcati sulle coste del sud Italia, hanno attraversato l’intero Paese e sono arrivati a Ventimiglia, davanti alla frontiera. Il loro obiettivo è raggiungere parenti o amici che vivono in Francia, in Germania, in Inghilterra o in Scandinavia. Il campo della Croce rossa, sorto sulle sponde del fiume Roja per rispondere alle loro prime esigenze, nel 2018 ha dato ospitalità a 9.281 migranti. È dotato di 74 container, cui si possono aggiungere alcune tende, in grado di contenere al massimo 444 individui. Al momento gli ospiti sono solo 200, ma il flusso varia di giorno in giorno: durante l’estate del 2017, ad esempio, si è raggiunto il picco massimo di 1.000.
“Ventimiglia fa da tappo a un un transito che non è mai cessato, e che continua tutt'ora – racconta a Rassegna Fulvio Fallegara, segretario della Camera del lavoro di Imperia –. Il ‘Campo Roja’ della Croce rossa funziona per le prime necessità di persone che aspettano il momento buono e poi appena possono vanno via”. I richiedenti asilo che si fermano, in effetti, sono pochi e “soprattutto non vogliono essere schedati” per paura del rimpatrio. “Anche per questo – spiega Fallegara –, quando l’anno scorso abbiamo offerto la nostra ospitalità, nessuno l’ha accettata. Ci vedono come un’istituzione, e avevano paura che gli chiedessimo i documenti. Quindi hanno preferito rimanere sotto il ponte, con i piedi nella neve”. Nonostante sia l’unica soluzione “ufficiale” per l’accoglienza, in effetti, anche il ‘Campo Roja’ non è visto di buon occhio dai migranti. La presenza della polizia e l’obbligo di rilevazione delle impronte sono sicuramente ragioni più che valide, ma non sono le uniche. Il campo è a cinque chilometri dalla città, senza collegamenti.
"Non vengono al campo perché rischiano di perdere il contatto con i passeurs"
“Non vogliono venire qui perché rischiano di perdere il contatto con i passeurs (trafficanti, che dietro pagamento li fanno transitare clandestinamente oltre il confine, ndr), e quindi la possibilità di passare dall’altra parte”, spiega Gabriella Salvioni, coordinatrice di Croce rossa italiana. La situazione delle persone che decidono di restare fuori, a tre anni dai primi insediamenti, resta però estremamente precaria. Donne, bambini e ragazzi soli si sono spesso accampati lungo il Roja, in condizioni durissime. I periodici sgomberi, disperdendoli sul territorio, li hanno tra l’altro resi ancora più vulnerabili. I tentativi di sconfinare, comunque, continuano, sempre alla spicciolata. Sempre più spesso aiutati da qualche passeur, i migranti provano a piedi, nei tunnel lungo l’autostrada, tra le traversine della ferrovia, lungo i sentieri di montagna o gli scogli. Tutti percorsi pericolosissimi. A decine in questi anni sono morti provandoci.
La frontiera italo-francese
Sulle montagne, sopra la frontiera, c'è anche una pista fino a qualche tempo fa poco conosciuta e chiamata “Passo della morte”, che in poche ore permette di arrivare a Mentone. Non si trova sulle mappe, ed è spezzata in due da una rete di filo spinato. Anche questo valico è molto pericoloso. Di qui durante il fascismo e la seconda guerra mondiale sono passati, e spesso sono precipitati nel vuoto, molti italiani: ebrei, renitenti, perseguitati politici ed economici, piccoli contrabbandieri. Clandestini di un altro tempo.
IN TRANSITO
Non esistono dati ufficiali sui migranti transitati a Ventimiglia negli ultimi anni, né su quanti vi si sono fermati dal 2015 ad oggi. La rilevazione più attendibile è quella effettuata dai volontari della Caritas, basata sul numero di persone che accedono, giorno dopo giorno, ai servizi della mensa gratuita. Si parla di oltre 25.000 persone l’anno. Esiste poi il dato delle presenze al ‘Campo Roja’, ma le due cifre potrebbero sommarsi e falsare il risultato. In ogni caso, secondo il rapporto “Se questa è Europa” redatto nel giugno 2018 da Oxfam, Diaconia Valdese e Asgi, le nazionalità prevalenti sono da sempre quelle provenienti dall’Africa orientale: nei primi quattro mesi del 2018, circa il 51% dei migranti presenti in città proveniva dall’Eritrea e il 23% dal Sudan.
"La maggioranza è composta da sudanesi in fuga dalla guerra del Darfur"
“La maggioranza è sempre stata composta da sudanesi in fuga dalla guerra in Darfur, nel 2017 quasi il 70% di tutti gli accessi. Ora invece sono di più gli eritrei in fuga dalla dittatura. Ma i flussi cambiano velocemente”, ci racconta Maurizio Marmo, di Caritas. Le restanti nazionalità sono Etiopia, Nigeria, Guinea Conakry, Afghanistan. Circa il 10% sono donne, molte delle quali sole: il loro numero è aumentato sensibilmente da gennaio 2018.
Ma il dato più significativo riguarda sicuramente il numero dei minori non accompagnati, ormai il 25% di tutti i migranti che arrivano a Ventimiglia (e che sono, comunque, giovanissimi: solo il 25% ha un’età superiore ai 25 anni). La maggior parte dei minori ha un’età compresa tra i 15 e i 17 anni, tuttavia non mancano ragazzini molto più piccoli che cercano di ricongiungersi con familiari o conoscenti in Francia, Inghilterra, Svezia o Germania. In questo contesto Save the Children, nel suo rapporto annuale del 2018, ha registrato un sensibile aumento dell’atroce fenomeno del survival sex. Lungo il confine italo-francese, a Ventimiglia, molte giovanissime, perse nel flusso dei minorenni non accompagnati, sono costrette a prostituirsi per mettere da parte il denaro necessario per pagare ai passeurs somme tra i 50 e i 150 euro per essere aiutate ad attraversare la frontiera in auto.
Fonte: Oxfam-Diaconia Valdese-Asgi
UNA SCUOLA DI PACE E INTEGRAZIONE
“Ci siamo interrogati a lungo su cosa fare, al di là della risposta ai bisogni primari che comunque va continuata – ci racconta ancora Fulvio Fallegara –. Alla fine abbiamo deciso di affrontare un percorso di natura culturale che coinvolgesse i cittadini e gli studenti. Perché l'accoglienza passa necessariamente attraverso la conoscenza”. Così dalla collaborazione tra Cgil, Caritas, Spes, Arci e altre associazioni e persone che si occupano di inclusione sul territorio, è nata la “Scuola della Pace”, un tavolo permanente, presto diventato un circolo Arci che all’inizio del 2019 ha dato il via alla sua attività. Il primo passo, il 18 febbraio, è stato un corso dal titolo “Conosciamo l'Islam” in collaborazione col Co.Re.Is (Comunità religiosa islamica), a cui farà seguito un corso per gli operatori sanitari dei consultori e i ginecologi sulle peculiarità della donna nella religione musulmana.
Il primo incontro della Scuola della Pace di Ventimiglia, 18 febbraio 2019
Ma esiste già un fittissimo programma di incontri, proiezioni di film, concerti e presentazioni di libri. Si va dalle lezioni nelle scuole secondarie ai corsi di danza africana, dalle partite di calcio alle domeniche ecologiche per ripulire le spiagge insieme ai migranti, dai convegni sulla storia africana nelle suole agli appuntamenti per parlare di infibulazione e mutilazioni genitali femminili. “Il progetto è diretto soprattutto agli italiani – racconta Matteo Lupi dell’Arci –, vogliamo cercare di capire e far capire perché queste persone si muovono e perché l’Africa sta vivendo questa epocale trasformazione che porta tante persone a fuggire”. Visto il ruolo che ha assunto il confine di Ventimiglia, quindi, “abbiamo avuto l’esigenza di confrontarci sul tema dei diritti umani, dell’integrazione e delle povertà. È un lavoro da fare soprattutto nelle scuole”.
"Vogliamo cercare di capire e far capire perché queste persone si muovono"
Un lavoro di conoscenza e approfondimento in un territorio che, tra l’altro, in questi anni si è fatto piuttosto ostile. “C'è una parte della cittadinanza che esprime solidarietà ai migranti – spiega Fallegara – e un’altra parte che invece ha molta paura. Non è un caso che a Ventimiglia sia stato eletto un leghista anche in Parlamento”. E a maggio ci saranno le elezioni comunali. “Indubbiamente la città sta vivendo una situazione che non ha precedenti – continua Maurizio Marmo della Caritas – né per la durata, né per il numero di persone che sono passate e continuano a passare. È comprensibile che si sia creato qualche timore, ma Prefettura e Questura certificano che negli ultimi tre anni e mezzo non sono aumentati i crimini, non ci sono state epidemie. Insomma, non è successo nulla”. Anche per questo la Cgil e le altre associazioni hanno puntato sulla cultura e sulla conoscenza. “Perché è difficile mettere in campo processi di inserimento o integrazione per persone che passano e non hanno intenzione di fermarsi”, dice Marmo. “E questa nuova modalità di lavoro deve diventare un approccio duraturo nel tempo - dice ancora Fallegara -. Chi verrà dopo di noi dovrà andare avanti su questa strada perché, se la gente non capisce cosa sta succedendo, cresce la paura. E quando cresce la paura, vince Salvini. Per non farlo vincere, invece, bisogna capire e spiegare chi sono queste persone, di quale cultura sono portatrici e perché sono in viaggio”.
"Continuiamo a fare cultura per combattere l’ignoranza"
Per far questo il sindacato è tornato alle sue origini: “La Camera del lavoro di Imperia – conclude Fallegara– è nata nel 1901. Gli operai e i braccianti, allora, venivano qui anche per imparare a leggere e a scrivere. Adesso non c'è più bisogno di alfabetizzare i lavoratori, ma è necessario continuare nel nostro ruolo didattico sul territorio per combattere l’ignoranza dilagante”. Oggi, insomma, il sindacato insegna la pace e l’integrazione.