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Contrastare il progetto di autonomia differenziata è prima di tutto questione democratica, oltre che sociale. Se passasse, inevitabilmente le diseguaglianze tra territori si amplificherebbero. Per questa ragione, insieme alla Uil e a molte associazioni e movimenti, la Cgil siciliana ha organizzato sabato scorso una grande manifestazione a Caltanissetta. Ne parliamo con Alfio Mannino, segretario generale della Cgil dell’isola.
La Sicilia è da sempre una Regione a Statuto speciale, cosa non va nell'autonomia differenziata di Calderoli?
Innanzitutto non ci convince l'impostazione per ciò che può determinare anche da un punto di vista istituzionale. Il governo, lo Stato centrale, vuole devolvere ben 23 competenze alle Regioni, e ogni singola Regione nella sua autonomia decide quale di queste competenze assume. Questo significa cambiare ogni singola Regione, ciascuna potrà avere un profilo diverso, un ruolo diverso, competenze diverse. Vorremmo capire, quando lo Stato nazionale sarà chiamato a legiferare, per quante Regioni lo farà, visto appunto lo spezzettamento che ci può essere rispetto alle competenze? Inoltre, alcune di queste competenze non ci pare possano essere appannaggio delle singole Regioni. Penso solo al rapporto con l'Unione europea. Infine, non è questa la risposta che serve soprattutto alle aree più deboli, più marginali del Paese. Al contrario, ci sarebbe bisogno di un grande investimento in termini di sviluppo economico e sociale per le Regioni e per i territori più fragili, non invece di un'autonomia differenziata che abbandona soprattutto quelle aree al proprio singolo destino.
I livelli essenziali delle prestazioni dovrebbero essere la precondizione dell’autonomia, cosa non convince della proposta del ministro leghista?
Innanzitutto non ci convince il fatto che per finanziare i Lep si vogliono utilizzare i Fondi di coesione e sviluppo. Sono fondi strutturali destinati alla riduzione dei divari, non alla spesa corrente. Così facendo invece che ridurre i gap infrastrutturali e sociali tra territori attraverso risorse dedicate, si vorrebbe utilizzarle per finanziare prestazioni per tutti. Ma esiste una questione di fondo, i Lep dovrebbero servire a definire le prestazioni minime per rispondere ai diritti di cittadinanza previsti dalla Costituzione, legarli automaticamente all’autonomia differenziata proprio non va, si perde l’universalismo e l’uguaglianza, insomma verrebbe meno l’idea dell’unitarietà dello Stato di fronte a bisogni e diritti di cittadine e cittadini.
Proviamo a guardare alcune delle materie delle 23 che Calderoli vorrebbe assegnare alle Regioni, ovviamente a richiesta. Partiamo da quello che in Sicilia è un tema davvero scottante: la sanità. Cosa potrebbe cambiare? Quali rischi paventate?
Piuttosto che ragionare sul tema dell'autonomia differenziata ci saremmo aspettati investimenti veri per abbattere le liste d'attesa, risorse per ridurre il costo dei ticket, soprattutto per i ceti più bassi, e risorse ordinarie e strutturali per accompagnare il Pnrr. Senza nuovi fondi le infrastrutture, dalle case agli ospedali di comunità, rimarranno vuote di personale e impossibili da gestire. Avremmo bisogno di questo, invece assistiamo al fatto che resistono i tetti di spesa e così non si riesce a garantire una sanità degna di questo nome. Esiste un’altra questione che vorrei sottolineare. Già oggi, a legislazione invariata, in Sicilia sulla sanità abbiamo una spesa pro capite inferiore al media nazionale di circa il 15%, se dovesse affermarsi il progetto dell'autonomia differenziata, in una Regione che ha una sofferenza economica e finanziaria come quella che è sotto gli occhi di tutti, la nostra preoccupazione è che l'investimento sulla sanità pubblica continui a decrescere, con il conseguente e inevitabile aumento del livello di diseguaglianza del diritto alla salute.
E sulla scuola?
Quello è un progetto che davvero spacca il Paese. Non solo tra Nord e Sud. Nel Mezzogiorno già ci sono i ritardi sul tempo scuola, sulla qualità della nostra struttura e sulle infrastrutture scolastiche, ma immaginare che le Regioni più forti possano avere una loro autonomia sulla definizione degli organici significherebbe non consentire ai docenti siciliani di poter insegnare fuori dal nostro territorio. Pensare, poi, che le Regioni potrebbero avere un proprio piano didattico è davvero grave e preoccupante, significherebbe spaccare definitivamente il Paese. Infine, se davvero passasse quel progetto le Regioni economicamente più forti potrebbero determinare anche i propri livelli di contrattazione colpendo la contrattazione collettiva nazionale e sancendo che ogni Regione possa definire il livello retributivo degli insegnanti. È del tutto evidente che si creerebbero ulteriori diseguaglianze rispetto a quelle che già ci sono. Il vero tema è come garantire il diritto all'istruzione, soprattutto alle aree più fragili del Mezzogiorno. Invece non c'è un piano di investimenti sul diritto all'istruzione, soprattutto delle aree più marginali. Anche in Sicilia una cosa è essere cittadini di Palermo, altra cosa essere cittadini di Petralia Sottana, perché mentre l'istruzione di secondo grado nelle grandi realtà (Catania, Palermo, Messina) comunque è garantita, nelle aree interne è assolutamente una chimera, anche perché non abbiamo un sistema di trasporti che consenta una mobilità degli studenti accettabile.
Infine, lavoro e quindi sviluppo del territorio...
Abbiamo misurato con l'autonomia derivante dallo Statuto speciale l’inadeguatezza rispetto al lavoro. Basti pensare che in Sicilia l’Ispettorato nazionale del lavoro non ha competenze e lo stiamo pagando in termini di sicurezza sul lavoro. In Sicilia c’è un tasso di incidenti sul lavoro altissimo eppure non abbiamo potuto usufruire delle assunzioni di ispettori predisposte dall’Inl. Figuriamoci cosa potrebbe accadere se potessimo legiferare in maniera autonoma sul mercato del lavoro, noi che siamo tra i primi per lavoro nero, sommerso, irregolare. Il lavoro sfruttato e sottopagato è oramai un fattore quasi strutturale, ci sono settori come l'agricoltura e l'edilizia dove una giornata di lavoro su due è in nero o irregolare. Naturalmente, si rischierebbe di determinare una condizione di ulteriore frattura sociale. E di peggiorare la qualità del lavoro nella nostra Regione.
Quella dell'autonomia di Calderoli è solo una questione economica o è anche una questione democratica?
È essenzialmente questione democratica. Non solo per gli effetti che può avere, ma anche per come è stata determinata. Non è possibile che le intese tra le singole Regioni non passino attraverso il vaglio del Parlamento. Non è possibile che tutto si giochi tra governo nazionale e governi regionali saltando le assemblee elettive e i corpi intermedi. Non c’è nessun processo democratico ad accompagnare una trasformazione così profonda dell’assetto dello Stato. Infine, con l’aumento inevitabile delle diseguaglianze, non solo è a rischio la coesione sociale, ma la tenuta democratica in tante aree del Paese.