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Quanti luoghi comuni, quante distorsioni genera nell’opinione pubblica l’emergenza degli sbarchi e il modo in cui viene trattata dai politici e dai mass media? Quanta disinformazione ruota attorno al tema dell’accoglienza e dell’integrazione che comprende questioni cruciali come il lavoro e la salute? Per rispondere a queste domande la Calabria, vista attraverso l’osservatorio dell’associazione Medici del Mondo Italia che promuove qui un progetto di assistenza medica di base e di formazione/informazione socio-sanitaria, è forse un luogo più eloquente di altri. In Calabria gli sbarchi e tutto ciò che ne consegue hanno una visibilità minore rispetto a Lampedusa e ai porti della Sicilia ma, senza i riflettori dell’opinione pubblica e dei mass media concentrati sull’emergenza, forse è più facile coglierne le dinamiche e il senso profondo.
Il primo luogo comune che siamo costretti a ribaltare visitando il porto di Roccella Ionica sono proprio le modalità dello sbarco. Roccella sembra il classico porticciolo turistico a fine stagione, situato peraltro in un bel tratto di costa. Il lungo molo che lo protegge dal mare aperto compare all’improvviso dopo aver percorso una stradina immersa nella pineta un po’ fuori dal centro abitato. Lungo la banchina del molo qualche peschereccio con l’equipaggio a bordo sembra pronto a salpare oppure è approdato da poco. Solo la presenza nel piazzale di due auto della polizia e dei carabinieri segnala qualcosa di anomalo.
Due giorni prima della nostra visita, a fine novembre, sono approdate qui 92 persone. Nessun gommone stracolmo all’inverosimile, nessuna nave di organizzazioni non governative, della Marina o della Guardia costiera che ha fatto scendere uomini, donne e bambini raccolti in mare e ridotti allo stremo. Le persone sono arrivate con una normale imbarcazione che ora è sotto sequestro. Forse andrà a ingrossare il gruppo di scafi – barche a vela, pescherecci, natanti di varia misura – che vediamo ammassati disordinatamente in un angolo del piazzale, a ridosso di un muraglione, con le chiglie di traverso o rovesciate, tutte piene di incrostazioni a segnalare una condizione di abbandono che dura da qualche tempo. Ciò che però ci colpisce, appena entrati nel grande piazzale antistante al molo, sono due barche a vela affiancate che sembrano ormeggiate lì in attesa di una stagione migliore. Le due barche, una con bandiera statunitense a poppa, l’altra con bandiera greca, sembrano in buone condizioni. L’impressione è che appartengano a qualche coraggioso turista fuori stagione. Solo quando ci avviciniamo riusciamo a scorgere i segni di un’avventura da poco conclusa: coperte, lattine vuote, suppellettili e indumenti che erano sfuggiti al primo sguardo sono ammucchiati nei due pozzetti e sul ponte.
In mezzo al piazzale campeggiano una tensostruttura della Croce Rossa e un’unità mobile della Caritas per la distribuzione del cibo, davanti alle quali alcuni ragazzi, una parte di quelli sbarcati due giorni fa, attendono di conoscere la loro sorte. Sono tutti di età indefinibile ma giovanissimi all’apparenza, provenienti in gran parte dall’Egitto come ci informano gli operatori di Medici del Mondo Italia. Qualcuno è risultato positivo al Covid-19 e dunque dovrà essere trasferito nella nave quarantena ormeggiata nel porto di Reggio Calabria. Un gruppo è seduto in cerchio nelle sedie portate fuori dal tendone, mentre un paio di loro si lavano sotto una doccia improvvisata all’aperto davanti agli occhi vigili dei carabinieri e della polizia.
Le circa seimila persone che sono sbarcate qui fino a oggi, ci spiegano gli operatori di Medici del Mondo Italia, provengono quasi tutte dal Nordafrica o dai paesi del Vicino Oriente e si sono imbarcate nei porti di Grecia, Turchia, Libano ed Egitto, più raramente in quelli della Libia. Viaggiano su imbarcazioni non proprio improvvisate come avviene spesso nel caso della Libia, dato che ai comandanti consegnano fino a 7 mila euro per la tratta Turchia-Italia. “E lo fanno solo al termine del viaggio, non prima della partenza – spiega Mourad Boudhil, mediatore interculturale di Medici del Mondo Italia in Calabria –. In questa parte del mare Ionio la rotta è molto più sicura, e le barche possono attraccare al porto di Roccella una volta avvistate dalla Guardia Costiera o dai pescherecci locali. Dopo lo sbarco i comandanti delle imbarcazioni, di solito provenienti da paesi extraeuropei, si fanno arrestare senza battere ciglio. I due anni di prigione che li attendono in Italia non sono sufficienti a dissuaderli da un viaggio del genere che, se anche dovesse restare l’unico della carriera, è sufficiente ad arricchirli per il resto della vita”.
Sarà interessante ora capire dove queste persone vengono smistate una volta passato il momento dell’emergenza così ben rappresentato dalla tensostruttura priva di riscaldamento, a testimoniare la temporaneità della situazione. Del resto i luoghi come questo, chiamati hotspot, devono limitarsi alle operazioni di soccorso e di prima assistenza sanitaria, come quella che svolge appunto Medici del Mondo Italia con l’intenzione di dare continuità alle cure nei passaggi successivi. Ma è compito degli hotspot fare anche una prima distinzione tra richiedenti asilo e migranti che si muovono per ragioni economiche, perché avranno destinazioni diverse. Il compito di attuare le procedure di identificazione e fotosegnalamento è affidato alle forze dell’ordine, che oltre a questo devono garantire la sicurezza. I migranti economici vengono poi trasferiti nei Cpr, Centri di permanenza per il rimpatrio, in attesa di essere espulsi.
Fino a qualche tempo fa qui in paese, poco distante dal porto, funzionava un piccolo ospedale con funzioni di centro di raccolta alla bisogna, ora chiuso e dichiarato inagibile dalla Prefettura. Lo visitiamo da fuori e non sembra poi tanto male, almeno all’apparenza. Dentro però, ci spiegano, non era esattamente un paradiso: infrastrutture pericolanti, finestre che non si chiudevano, acqua che filtrava dal tetto, servizi igienici carenti, strutture anti-Covid precarie e vulnerabili. Il centro è diventato famoso dopo che se n’è occupata la trasmissione tv Propaganda live e forse era stato chiuso proprio per questo. Lontano dai riflettori il sindaco non ha però esitato a riaprirlo dopo un recente sbarco di 500 persone che aveva fatto precipitare di nuovo Roccella nell’emergenza. Ora non dovrebbe più esserci questo rischio perché il centro sta per essere ristrutturato con i soldi del Pnrr. Ma soprattutto perché gli sbarchi sono diminuiti con l’arrivo della cattiva stagione e probabilmente ci sarà una tregua fino alla prossima primavera.
Del gruppo dei 92 una quarantina sono stati trasferiti durante la notte. Noi non possiamo ancora sapere dove, ma di prassi – ci spiegano – gli adulti finiscono sulla nave quarantena e i minori in uno dei 6 centri dell’interno destinati allo stesso scopo, dove spesso rimangono molto più tempo di quello previsto dall’isolamento. “Alcuni scompaiono prima di essere trasferiti – riferisce Alberto Polito, responsabile dei progetti di Medici del Mondo Italia in Calabria, che conosce bene questo passaggio dato che la sua associazione è presente in uno dei centri –: nel migliore dei casi si rendono irreperibili per raggiungere i loro parenti, specie gli eritrei e i siriani che spesso sanno già dove andare. Altri si mettono nelle mani dei trafficanti che li aiutano, a pagamento, a raggiungere la loro meta. Mi è capitato di sentire al telefono uno di loro che il giorno dopo lo sbarco aveva già raggiunto i parenti in Francia. Nel peggiore dei casi finiscono nella tratta dei minori, che può comprendere il traffico di organi”.
Per chiarire i successivi passaggi va fatta una premessa: i decreti sicurezza introdotti dal governo Conte I nel 2018 hanno cambiato la vecchia normativa che non distingueva tra rifugiati e richiedenti asilo. Adesso i primi possono beneficiare di progetti e percorsi di integrazione, mentre i secondi devono attendere di conoscere la loro sorte. Tutto ciò, com’è facile intuire, dà origine a qualche confusione sia nel riconoscimento delle sigle per chi non è addetto ai lavori, sia nella destinazione, e talora nello spreco, delle risorse assegnate a questi centri. In ogni caso la normativa attuale prevede che i richiedenti asilo siano trasferiti nei Centri di prima accoglienza (Cpa), dove resteranno per il tempo necessario all’identificazione, all’accertamento delle condizioni di salute e all’avvio della procedura per la richiesta di asilo. Per non creare ulteriore confusione con le sigle, tralasciamo qui il ruolo dei Cas previsti dal decreto sicurezza (Centri di accoglienza straordinaria: in Calabria ce n’è uno a Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto, vicino a Crotone), che prima costituivano un passaggio obbligato, ed erano chiamati Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo; ora accolgono i richiedenti asilo limitatamente al tempo necessario al trasferimento in altre strutture. In realtà, però, i Cas-Cara, che garantiscono solo vitto e alloggio e non riconoscono alcun diritto, sono spesso utilizzati dalle prefetture come centri di raccolta e di smistamento in attesa della disponibilità di posti nelle strutture della regione in cui operano o di altre regioni. E non brillano per il trattamento riservato agli ospiti.
A questo punto il Servizio centrale del ministero dell’Interno stabilisce la destinazione in quella che viene definita seconda accoglienza per chi ne ha diritto. L’attuale Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) sostituisce il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati (Siproimi), istituito con il decreto sicurezza nel 2018, che a sua volta sostituiva il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), in vigore dal 2002 al 2018, che prevedeva tre tipi di protezione internazionale: umanitaria, sussidiaria, o quella derivante dallo status di rifugiato. I minori possono ancora fare richiesta di protezione internazionale umanitaria ma in tal caso devono attendere la decisione di una commissione territoriale (qui entriamo in un terreno estremamente tecnico che è oggetto di dispute giurisprudenziali). Invece i Sai, che sono gestiti dagli enti locali, sono stati istituiti per garantire l’assistenza materiale ai richiedenti asilo che rientrano nel codice Stp (Straniero temporaneamente presente), nonché l’accesso ai servizi sanitari e legali con la presenza di un mediatore culturale; inoltre forniscono progetti di integrazione e orientamento lavorativo ai titolari di protezione (coloro ai quali è stato riconosciuto il diritto d’asilo e alla protezione internazionale), attivando anche un canale per il ricongiungimento familiare.
Con Medici del Mondo Italia, che opera in uno di questi centri con un progetto di formazione e informazione sanitaria per ospiti e operatori, andiamo a visitare il Sai di Benestare, un paesino in collina nell’entroterra della Calabria Ionica. Qui, con il pensiero rivolto alla vicenda di Riace e al sindaco Mimmo Lucano, che è tuttora ben presente nel discorso dei calabresi, potremo vedere come funzionano concretamente le cose. Il Comune di Benestare ha affidato alla cooperativa Pathos la gestione della struttura, che può ospitare fino a 52 minori. Noi possiamo osservarne una ventina, quasi tutti di provenienza nordafricana, che assistono a un’attività di orientamento e sensibilizzazione alla salute sessuale condotta da un’operatrice di Medici del Mondo Italia.
“Con la sigla Stp – ci spiegano i responsabili del centro – gli ospiti possono effettuare un primo screening medico generale anche di carattere psicologico. Inoltre possono accedere al consultorio familiare ed essere visitati da uno psicologo infantile. Dopo di che iniziano a frequentare un corso di alfabetizzazione interno. I centri provinciali per l’istruzione degli adulti (Cpia, tanto per non rinunciare alle sigle, ndr) certificano il livello uno e due raggiunto dai ragazzi a scuola, fino alla licenza media. Le scuole che li ospitano, come il paese nel suo complesso, hanno dato un’ottima risposta. Un istituto professionale di Benestare ha aperto un corso di italiano ad hoc. Alcuni ragazzi fanno gli animatori nei campi estivi. Altri fanno parte di un coro multietnico che si chiama Global Chorus”.
Per quanto riguarda il lavoro occorre seguire un iter complesso ma fruttuoso, almeno a giudicare dalla sentenza del tribunale dei minori di cui si è avuta notizia proprio in questi giorni, e che apre nuove e del tutto inedite prospettive di integrazione. Il tribunale apre un fascicolo per ciascun minore ospite del centro e lo passa ai servizi sociali del territorio fissando una prima audizione contestualmente alla nomina di un tutore. Il tutore rilascia davanti al giudice un verbale di audizione firmato da lui stesso, dal minore, dal mediatore culturale e dal responsabile della struttura. Con questo documento si può chiedere un primo permesso di soggiorno valido al compimento dei 18 anni, come ha fatto il centro Sai di Benestare. Ora il ministero dell’Interno consente infatti a queste strutture di ospitare i ragazzi anche per i 6 mesi successivi. E la cooperativa Pathos sta lavorando al ‘prosieguo amministrativo’ previsto dalla legge Zampa del 2017, che contempla la possibilità di richiedere l’affidamento del minore alla struttura fino al compimento dei 21 anni di età, con il permesso di soggiorno per affidamento convertibile in permesso di lavoro e di studio. È proprio quanto stabilisce la sentenza del tribunale emessa nei giorni scorsi. “Questo è un grande risultato – commentano i responsabili del centro –, frutto di un lavoro di rete tra noi, il tutore e i servizi sociali, e che ora si tratta di rendere operativo”.
Il cammino dell’integrazione attraverso il lavoro prevede la realizzazione di un progetto promosso da un consorzio di cooperative sociali (Goel), con corsi teorici e pratici di agricoltura. Seguiranno contratti stagionali per sei ragazzi del centro che si occuperanno della raccolta di agrumi, e borse lavoro della durata di due mesi per un totale di 800 euro. Inoltre il ministero del Lavoro ha promosso un bando denominato Puoi, della durata di sei mesi, che oltre alla Calabria vede coinvolte Sicilia e Basilicata ed è finalizzato all’assunzione nelle aziende ospitanti. Tutto ciò indica la buona disposizione del mondo economico e della società civile e, tra l’altro, costituisce una bella sfida al lavoro nero in aree dove l’economia sommersa e il caporalato la fanno da padroni. Non a caso questo tema, assieme alla tratta, è compreso nel corso di formazione psico-socio-sanitaria gestito da Medici del Mondo Italia nel centro Sai di Benestare.
Tutto bene dunque? Non esattamente se è vero, come ci raccontano, che nel quartiere super-degradato di Arghillà alla periferia di Reggio Calabria, dove Medici del Mondo Italia promuove un altro progetto informativo-sanitario nel locale centro di medicina di prossimità, i residenti sono scesi in strada per bloccare sul nascere l’idea di trasferire qui un gruppo di migranti. Una guerra tra poveri che ha per teatro un quartiere dove manca tutto, dalla sicurezza alle fognature, dai servizi ai trasporti, e dove l’emergenza sanitaria è di casa. Ora pioveranno qui ben 15 milioni di euro che il Pnrr ha destinato alla completa ristrutturazione del quartiere. Ci sarà molto da lavorare. Ma questa è un’altra storia.
(Le foto che illustrano questo servizio sono di Ippolita Paolucci)