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Alle 19 e 30 di domenica 23 novembre 1980 una forte scossa della durata di circa 90 secondi, con un ipocentro di circa 10 km di profondità, colpisce un’area di 17.000 km² che si estende dall’Irpinia al Vulture, posta a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza. I morti sono migliaia, centinaia di migliaia i senzatetto.
“Guardo e cerco di capire - scrive Alberto Moravia - di riflettere; e ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano; adesso sono macerie e sotto quelle macerie stanno sepolti gli abitanti, altrettanto invisibili che i morti di quel cimitero che vedo laggiù, con il suo recinto, e le sue file di tombe, i suoi cipressi. Soltanto, un paese non è un cimitero; non può esserlo che in una o due terribili occasioni; e così comincia ad albeggiarmi nella mente l’orrore che vado scoprendo e che ancora mi aspetta (…) i morti stanno nella maceria come un orrendo condimento a una pasta dolce. Eccone uno: tra il polverone e la folla, distinguiamo a metà altezza una testa, mezza spalla, un braccio tutto pesto di un colore grigio-ghisa, che sporgono immobili e rigidi dal magma polveroso. Intanto il coro continua. “Ce ne sono tanti sotto terra che sono vivi come noi qui fuori, ma ancora per poco. Si lamentano, chiamano e poi, non dicono più niente alla fine”. I sepolti vivi! È uno degli incubi dell’umanità, uno dei più terrificanti e sentiti, forse perché adombra il ritorno non voluto né previsto al ventre materno non più donatore di vita ma di morte, non più di luce ma di tenebre”.
Sandro Pertini, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri, si reca in elicottero sui luoghi della tragedia. Di ritorno dall’Irpinia parla agli italiani. “Italiane e italiani - dirà - sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo (…) a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. È vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. (…) Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. (…) Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo, se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato (…) A tutte le italiane e italiani, qui non c’entra la politica, qui c'entra la solidarietà umana, tutte le italiane e italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi loro fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”.
“Più tardi - scriverà ancora Moravia - mentre torniamo verso l’elicottero mi viene fatto di pensare: ecco, domenica scorsa alle sette e mezzo il fremito e il boato del terremoto hanno percorso questa regione, distruggendo, in un attimo sterminatamente lungo, intere comunità. Poco dopo, i telefoni e tutti gli altri mezzi di comunicazione erano bloccati; ma non tutti gli abitanti erano morti, e tra i vivi ci fu certamente qualcuno che aveva una macchina non distrutta e che si precipitò ad Avellino, a Salerno, a Napoli, a tutti i luoghi assai vicini. Si precipitò, annunciò, descrisse, chiese aiuti. Eppure, gli aiuti non vennero in tempo, vogliamo dire le ruspe e le gru che avrebbero potuto salvare tanti che erano ancora vivi sottoterra e poi invece hanno avuto una morte atroce nelle tenebre, nel gelo e nella ristrettezza di tombe improvvisate. Ora perché questo fatale e incredibile ritardo? Che cosa ha impedito che l’urgenza della situazione giungesse fino al cuore di chi poteva provvedere? La risposta a questa domanda sembra dover essere purtroppo la seguente: è evidente che l’inerzia ha un fondo diciamo così storico-religioso”.
E in una storia che sembra tristemente infinita verranno ancora le devastazioni del Molise, dell’Umbria, delle Marche, de L’Aquila, dell’Emilia Romagna. Ancora morte, crolli, distruzioni e ricostruzioni difficili.
“Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice - diceva nel novembre del 1980 Sandro Pertini - Io ricordo che sono andato in visita in Sicilia. Ed a Palermo venne il parroco di Santa Ninfa con i suoi concittadini a lamentare questo: che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere? Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui. Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto”.
“Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice”. Quante volte ancora saremo costretti a ripeterlo?