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Gli effetti della pandemia hanno reso molto più precarie e difficili le condizioni sociali, economiche e lavorative di buona parte della popolazione che vive in Italia, colpendo in maniera particolarmente dura le categorie già fragili ed emarginate, tra cui i migranti. È impietosa la fotografia scattata dalle anticipazioni del 31° dossier statistico immigrazione a cura del centro di studi e ricerche Idos, in collaborazione con Confronti e Istituto di studi politici “S. Pio V”, che verrà presentato il 28 ottobre.
Secondo il report, nel 2020, gli stranieri in condizioni di povertà assoluta sono arrivati a 1,5 milioni, il 29,3% dei 5 milioni complessivi che risiedono in Italia (un’incidenza circa quattro volte superiore al 7,5% rilevato tra gli italiani). Tuttavia, sono rimasti maggiormente esclusi da moltissime forme di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà, soprattutto per una serie di quelli che Idos definisce “vincoli giuridici illegittimi”, come residenze pluriennali, titoli di soggiorno di lunga durata, produzione di documenti sullo stato patrimoniale e reddituale all’estero, che ancora oggi impediscono loro un accesso a questi sussidi.
Nel frattempo, si è cronicizzato il modello lavorativo che da decenni li tiene ai margini del mercato occupazionale, inchiodati ai lavori meno qualificati, più precari, meno retribuiti, più pesanti e spesso anche più rischiosi per la salute, in cui vengono impiegati poco e male. Rispetto ai lavoratori italiani, sono più sovraistruiti, cioè svolgono mansioni di livello più basso rispetto ai titoli di formazione posseduti (lo è il 33,9% a fronte del 24,3% tra gli italiani); più sottoccupati, cioè impiegati per meno ore di quante sarebbero disposti a lavorare (nel 13,7% dei casi rispetto all’8,7% degli italiani) e hanno retribuzioni medie mensili inferiori di un quarto (1.083 euro contro 1.418 degli italiani).
Eppure, come riporta il dossier, in un contesto in cui più dei nativi hanno perso il lavoro (-159.000) e spesso hanno cessato di cercarlo, gli immigrati hanno dimostrato una “grande capacità di resistenza e determinazione” nel reagire a questa fase critica. Non solo continuano ad assicurare all’erario pubblico importanti entrate finanziarie in tasse, contributi e imposte, ma con i loro risparmi sostengono le famiglie rimaste all’estero con un flusso di rimesse (6,7 miliardi di euro nel 2020) che aumentato nonostante la crisi (era di 6 miliardi nel 2019).
Inoltre, pur di continuare a mantenere se stessi e la propria famiglia anche quando perdono il lavoro, gli stranieri più spesso degli italiani tentano la via del lavoro in proprio, aprendo un’attività autonoma (+2,5% nel 2020, in linea con una crescita ininterrotta almeno dal 2011). Infine, nell’anno in cui l’Italia ha registrato il numero più basso di nati dall’Unità d’Italia (404.000) e un numero di morti paragonabile a quello del dopoguerra (746.000), sebbene anche gli stranieri abbiano conosciuto un calo di nascite (-5,6%) e un aumento di decessi (+25,5%), hanno comunque contribuito per il 14,7% alle nuove nascite del Paese, attutendone in parte il cronico declino demografico.
Gli immigrati, insomma, anche nell’anno durissimo del Covid e in condizioni più penalizzate, dimostrano secondo i ricercatori dell'Idos una “capacità di tenuta e di resistenza dalla quale ci sarebbe spesso da imparare”.