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Nel 1975 Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, sono due ragazze di diciannove e diciassette anni del quartiere popolare della Montagnola di Roma. Due ragazze, due figlie, nipoti, amiche, vicine di casa che nel settembre di quarantacinque anni fa vengono violentate e torturate, una uccisa, da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, tre giovani pariolini legati agli ambienti neofascisti della capitale. Sono le vittime designate di una violenza cieca e assoluta, anche agita dal disprezzo sociale. Dopo due giorni di sevizie le ragazze vengono rinchiuse nel bagagliaio dell’auto di Gianni Guido, parcheggiata il 1° ottobre 1975 in via Pola a Roma.
Probabilmente i loro aguzzini contavano di sbarazzarsi dei corpi di entrambe, ma Donatella Colasanti è viva, sopravvive e denuncia (Donatella sarà assistita da Tina Lagostena Bassi, l’avvocata delle donne. Quella stessa Tina Lagostena Bassi che in Processo per stupro, il primo processo ripreso dal vivo dalle telecamere Rai nel tribunale di Latina, difenderà nel 1979 una giovane vittima di stupro non solo dagli artefici della violenza, ma anche - forse soprattutto - dai loro legali Ascolta la sua arringa).
“Sembrava un bravo ragazzo - raccontava Donatella riferendosi ad Angelo Izzo nel 2005 pochi mesi prima di morire - Parlava di musica classica, per farci buona impressione. Rosaria e io avevamo solo 17 anni! Ci ha invitate a una festa da ballo, dicendo che ci sarebbero stati ragazzi e ragazze, compagni di scuola. Per me la parola scuola fu una garanzia. Avevo visto Izzo e altri suoi amici diverse volte. Così per prendere un gelato. Quindi mi sono fidata. Quando siamo arrivate nella villa del Circeo, ci hanno fatte subito entrare in casa. Ci hanno puntato una pistola contro, sghignazzando: ‘Ecco la festa!’. Poi ci hanno chiuso in un bagno minuscolo, senz’aria. Ci hanno spogliate, tolto gli anelli, i documenti, tutto quello che avrebbe potuto renderci identificabili. Sapevano benissimo cosa stavano facendo. Era tutto preparato. I sacchi in cui ci avrebbero messe, da morte, ce li hanno mostrati subito. È stato terribile”.
Donatella si salva fingendosi morta. “A un certo punto ci hanno divise - continua il suo terribile racconto - Rosaria l’hanno portata nel bagno di sopra. Poi sono tornati da me. Ho capito che l’unica, minuscola, speranza che mi rimaneva era fingermi morta. Gianni Guido mi aveva fatto sdraiare per terra, mi aveva messo un piede sul petto e legato una cinghia attorno al collo. Ha tirato così forte che alla fine la fibbia si è rotta. Allora ha cominciato a infierire con la spranga e con i calci in testa”.
La difesa dei tre criminali sarà tutta incentrata sulla presunta inaffidabilità della Colasanti. “Lo sapevamo: prima o poi doveva accadere” - è sulla stampa il commento dei parenti e amici di Rosaria, la ragazza uccisa - “Era una brava ragazza ma da qualche tempo era cambiata”. “Cercava in questo modo di uscire da un periodo di depressione che un anno fa l’aveva portata a tentare il suicidio - è la descrizione che i media fanno di Donatella - Forse sperava di trovare in quel giro un altro principe azzurro, dopo che il primo grande amore l’aveva lasciata e allora tentò di morire”. La sentenza arriverà il 29 luglio 1976: ergastolo per Gianni Guido e Angelo Izzo, ergastolo in contumacia per Andrea Ghira.
Ghira non sarà mai rintracciato e Gianni Guido sconterà appena ventidue anni di carcere, mentre nel dicembre 2004 Angelo Izzo otterrà la semilibertà dal carcere di Campobasso su disposizione dei giudici di Palermo. Il 28 aprile 2005 ucciderà di nuovo. Le vittime saranno Maria Carmela e Valentina Maiorano moglie e figlia di un boss pentito che aveva conosciuto in carcere (durante la detenzione Izzo manifesterà più volte interesse a collaborare con la magistratura fornendo, grazie a presunte confidenze ricevute da altri carcerati di estrema destra, proprie versioni sulle stragi di piazza Fontana, di Bologna e di piazza della Loggia, sugli omicidi di Mino Pecorelli, Fausto e Iaio e Piersanti Mattarella, sulla morte di Giorgiana Masi e su altri episodi di terrorismo e di mafia. A volte le sue dichiarazioni hanno trovato riscontro, altre volte no. Sarà lui tra i primi a parlare della violenza subita da Franca Rame, violentata da un gruppo di neofascisti milanesi con la protezione dei carabinieri).
“Ho ricevuto la notizia dall’Ansa - raccontava ancora Donatella - Mi sembrava impossibile. Non sapevo che avessero concesso la semilibertà a Izzo, uno che nel 1993 era pure evaso. E poi, nel luglio del 2003, al ministero di Grazia e Giustizia avevano promesso di comunicarmi qualsiasi decisione, permessi premio inclusi, che lo riguardasse. E invece l’ho appreso dai giornali. Come collaboratore, Izzo ha goduto di trattamenti particolari, ha dato l’impressione di essersi ravveduto, ha conosciuto altri pentiti, come il padre della ragazzina uccisa. Se non l’avesse incontrato, forse la bambina sarebbe ancora viva. Smettiamola con la storia del pazzo. Izzo non è un mostro vittima della follia. È qualcosa di peggio. Gli piace uccidere e gli piacciono i soldi. È uno che rifiuta di scontare la pena, che vorrebbe stare in galera come in albergo. Un mostro non si comporta così. Chi uccide perché è malato vuole pagare per i propri crimini, si pente, chiede addirittura di essere giustiziato. Izzo, no. È arrogante, fa male agli altri, non chiede mai scusa. È un assassino e basta”. Un assassino che però non è riuscito - per fortuna - a uccidere Donatella e insieme a lei tutto quello che ci ha raccontato e che ha rappresentato.
“Se è stata una fortuna o una sfortuna sopravvivere a quell’orrore? - si chiedeva poco tempo fa il fratello, Roberto Colasanti - Se è sopravvissuta è perché doveva cambiare le cose: senza di lei la legge che definisce lo stupro reato contro la persona e non contro la morale non ci sarebbe stata. È l’icona della sopravvissuta, lei è la storia”. Una storia che purtroppo si ripete ogni qualvolta siamo obbligati a sentire frasi del tipo “Se l’è cercata”, “Come era vestita?” “Non ha detto no”. Una storia che non ci stancheremo mai di cancellare e riscrivere nel modo giusto, ripetendo fino allo sfinimento che lo stupro ha un solo colpevole e una sola causa: lo stupratore.