La discussione sulla trasformazione digitale non può che partire dai luoghi. Non a caso la Cgil con l’iniziativa dello scorso 28 maggio, Reti In Comune, ha avviato una discussione aperta sul futuro smart delle città metropolitane. I ritardi culturali e produttivi – così come le eccellenze nelle città chiuse dal lockdown – diventano esperienze concrete e immediatamente leggibili. La trasformazione antropologica degli agglomerati urbani viaggia sulle reti (5G e fibra), ma il carburante perché questa rivoluzione si realizzi sono i dati, la vera ricchezza da acquisire per poter fornire e ricevere servizi, per acquistare e vendere prodotti. La loro conservazione, il loro utilizzo, il ruolo del pubblico e la tutela della privacy dei cittadini sono questioni determinanti nella costruzione della smart city inclusiva, partecipata e democratica.

La comunicazione, il lavoro, la mobilità, l’assistenza sociosanitaria, la scuola, l’abitare, i servizi ai cittadini, l’accesso alla cultura, ai beni archeologici e paesaggistici, sono tutti elementi della vita sociale che possono e debbono essere parte dello stesso ecosistema nelle smart cities. L’assunto è che la “connessione”, per essere la città veramente smart, deve essere totale. In questa trasformazione, sul cosa e come rivendicare diritti, tutele, trasparenza, partecipazione l’Ufficio Lavoro 4.0 della Cgil sta costruendo un intero Inserto di Idea Diffusa, numero che uscirà alla fine di luglio su Collettiva.it e sul sito della Cgil con un editoriale a firma Maurizio Landini.

 Le grandi esperienze internazionali di Singapore, Zurigo, Oslo, Copenaghen, città con caratteristiche diverse di sviluppo, hanno declinato la “digitalizzazione” fornendo servizi e facilitando la vita dei propri cittadini


Impossibile per il sindacato della rivoluzione digitale definire la propria azione nel solo perimetro novecentesco di lavoro e welfare. Nei “luoghi” si modificano attività, tempi di vita, spazi, gerarchie, quindi bisogna riscrivere i propri spazi di intervento, essere partecipi in una discussione che va oltre il “lavoro e l’impresa”, magari avere anche l’ambizione e la capacità di essere uno dei “blocchi della catena”. Le grandi esperienze internazionali di Singapore, Zurigo, Oslo, Copenaghen, città con caratteristiche diverse di sviluppo, hanno declinato la “digitalizzazione” fornendo servizi e facilitando la vita dei propri cittadini. Come avviene in questi momenti di passaggio, si può decidere di continuare a guardare al vecchio modello, col rischio di finire fanalino di coda in Europa, oppure correre verso una trasformazione green e digitale.

L’esperienza della pandemia ci ha costretti a guardare ai nostri difetti, alle nostre rigide abitudini obbligandoci a pensare digitale. Basti ragionare solo a quale effetto ha oggi prodotto l’utilizzo massivo del lavoro da remoto sulla mobilità cittadina: Roma, la capitale dei ministeri, della pubblica amministrazione e delle direzioni generali delle grandi imprese, con scuole, università e luoghi di aggregazione chiusi o ridotti per mesi, con l’esplosione dell’e-commerce, è già diventata un’altra città.

Costruire città intelligenti, connesse, ecologiche, dove trasporto, orari e luoghi di lavoro, servizi al cittadino siano coerenti e connessi, dove la sensorizzazione serva a migliorare i tempi della mobilità, a ridurre gli sprechi di acqua, energia, ad evitare tragedie come quella del ponte di Genova, a migliorare l’efficienza di edifici pubblici e privati, dovrebbe essere il traguardo della rivoluzione 4.0. Quando si ragiona di tutto questo si deve ambire alla conquista di nuovi spazi di contrattazione e, come abbiamo provato a dire, il luogo giusto per avviare la rivoluzione sociale e digitale è la città metropolitana. 

Alessio De Luca, coordinatore Idea Diffusa Cgil