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Scriveva Lia Garofalo, Le italiane in Italia: “Lunghissima attesa davanti ai seggi elettorali. Sembra di essere tornati alle code per l’acqua e per i generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto al nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi e molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra donne e uomini hanno un tono diverso, alla pari”.
Il 2 giugno 1946 in Italia si vota per il referendum istituzionale tra monarchia o repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente. Già il decreto luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, emanato durante il governo Bonomi, aveva tradotto in norma l’accordo che al termine della guerra fosse indetta una consultazione fra tutta la popolazione per scegliere la forma dello Stato e per eleggere un’Assemblea costituente. Alla fine gli italiani sceglieranno la Repubblica, con 12.718.641 voti contro i 10.718.502 della monarchia. I voti validi saranno in totale 23.437.143; un milione e mezzo saranno le schede bianche o nulle. I giornali - e il dato è confermato dai risultati diramati dal Ministero dell’interno - registravano un’affluenza alle urne che di provincia in provincia variava dal 75% al 90% degli aventi diritto. Il voto referendario fotograferà chiaramente un’Italia divisa in due votando il Nord a maggioranza repubblicana e confermando il Sud la tradizionale fedeltà all’istituto monarchico.
Il sistema elettorale scelto per l’elezione della Assemblea costituente sarà quello proporzionale, con voto diretto, libero e segreto a liste di candidati concorrenti in 32 collegi plurinominali per eleggere 556 deputati.
La legge elettorale prevedeva l’elezione di 573 deputati, ma le elezioni non si effettuarono nell’area di Bolzano, Trieste e nella Venezia Giulia, dove non era stata ristabilita la piena sovranità dello Stato italiano. Ad essere esclusi dal voto saranno anche i militari prigionieri di guerra nei campi degli alleati e gli internati in Germania. Per la prima volta a livello nazionale sono chiamate al voto anche le donne (voteranno 12.998.131 donne, contro 11.949.056 uomini) che avevano già votato - ed erano state votate - nelle elezioni amministrative del marzo precedente in base a quanto stabilito dal decreto legislativo luogotenenziale 1 febbraio 1945 n. 23 e dal decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74.
“E le italiane - scriverà Tina Anselmi - fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica!”.
Non voteranno in realtà proprio tutte le donne italiane. Saranno escluse dal diritto di voto attivo le donne citate nell’articolo 354 del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: si trattava delle prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro concesso di esercitare la professione. In base al risultato delle urne, l’Assemblea costituente risulterà così composta: Dc 35,2%, Psi 20,7%, Pci 20,6%, Unione democratica nazionale 6,5%, Uomo qualunque 5,3%, Pri 4,3%, Blocco nazionale delle libertà 2,5%, Pd’A 1,1%.
Le elette donne saranno 21 su un totale di 556 deputati: nove del Partito comunista, nove della Democrazia cristiana, due del Partito socialista, una dell’Uomo qualunque (il 9,3% sul totale delle candidate, il 3,8% sul totale dei deputati eletti. Due anni dopo, alle elezioni del primo Parlamento, il numero di donne elette salirà a 49 pari al 5%).
Affermava Marisa Rodano, in occasione della presentazione del libro Le donne della Costituente:
La composizione dell’Assemblea eletta il 2 giugno del ‘46 a buon diritto può definirsi straordinaria. Ne facevano parte gli uomini di parte liberale, che avevano avuto responsabilità di governo prima del fascismo (…); dirigenti antifascisti tornati dall’esilio, dal carcere, dal confino, o anche da anni di semiclandestinità in Italia (…) Vi era poi una nutrita corte di combattenti della Resistenza (…), dirigenti sindacali tra cui i tre firmatari del Patto di Roma che aveva ricostituito la Cgil (…) e prestigiosi intellettuali come Croce, Marchesi, Calamandrei, Valiani (…). C’erano infine i giovani come Moro, Andreotti (…). Ne facevano parte, come potete vedere, numerosi futuri presidenti della Repubblica. Era un’assemblea dove si confrontavano tutte le posizioni politiche ideali, le esperienze, le sensibilità del Paese, dove si incontravano generazioni diverse, quella degli anziani dirigenti antifascisti e le giovani generazioni emerse dalla guerra di liberazione. Quell’assemblea riuscì a produrre un testo costituzionale estremamente innovativo che fu approvato quasi all’unanimità. Ovviamente non fu votato dai monarchici, che rifiutavano la Repubblica ma che pure parteciparono alla stesura del testo (…) La vera novità era, però, che di quell’assemblea facevano parte 21 donne. Anche in questo caso si incontravano generazioni ed esperienze diverse: donne già mature, nate nell’ultimo quindicennio dell’800 e nei primissimi anni del ‘900, che avevano combattuto contro il regime prima della marcia su Roma o che avevano dovuto abbandonare l’impegno politico dopo l’avvento del fascismo, per sostituirlo con la militanza nelle associazioni cattoliche o di beneficenza; donne provenienti dalla Resistenza come Nilde Iotti, Teresa Mattei, Laura Bianchini, Bianca Bianchi, Maria Maddalena Rossi. Alcune erano giovanissime. Teresa Mattei, Nilde Iotti e Angiola Minella avevano poco più di 25 anni; Filomena Delli Castelli e Nadia Spano - che proveniva dalla Tunisia - ne avevano 30. La novità non era soltanto che per la prima volta, in Italia, vi erano donne elette in un consesso parlamentare, ma che quelle donne hanno impresso un segno significativo nella Carta fondamentale che sta alla base dell’ordinamento della Repubblica.
L’Assemblea costituente si riunirà per la prima volta il 25 giugno e lavorerà fino al 31 gennaio 1948 (anche se le sue commissioni funzioneranno fino al mese di aprile) per un totale di 375 sedute pubbliche, delle quali 170 dedicate alla Costituzione e 210 ad altre materie.
Il 28 giugno eleggerà Enrico De Nicola capo provvisorio dello Stato deliberando la nomina di una commissione ristretta (Commissione per la Costituzione o Commissione dei 75) composta da 75 membri - scelti dal presidente sulla base delle designazioni dei vari gruppi parlamentari - cui viene affidato l’incarico di predisporre un progetto di Costituzione da sottoporre al plenum dell’Assemblea. Cinque saranno le donne che entreranno a far parte della Commissione dei 75: Maria Federici (Pci), Angela Gotelli (Dc), Nilde Iotti (Pci), Lina Merlin (Psi) e Teresa Noce (Pci).
Il 31 gennaio 1947, un Comitato di redazione composto di 18 membri, presenterà all’Aula il progetto di Costituzione, diviso in parti, titoli e sezioni. Dal 4 marzo al 20 dicembre 1947 l’Aula discuterà il progetto e il 22 dicembre verrà approvato il testo definitivo. La Costituzione repubblicana sarà promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1948. Madri e padri costituenti ci hanno lasciato una delle Costituzioni più belle del mondo.
Una Costituzione che non va solo difesa, ma applicata in particolare sui diritti fondamentali - oggi come non mai - : a partire dal lavoro, dal diritto alla salute e all’istruzione. “La Costituzione - ce lo ha insegnato Sandro Pertini - è un buon documento; ma spetta ancora a noi fare in modo che certi articoli non rimangano lettera morta, inchiostro sulla carta. In questo senso la Resistenza continua”.
Diceva il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento
Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione. La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno. Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro. Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro. Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le nuove tecnologie e superando il divario digitale. Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici. Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace. Significa garantire i diritti dei malati. Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale. Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi. Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni. Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità. Significa sostenere la famiglia, risorsa della società. Significa garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia. Significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che settanta anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo. Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.
C’è, in queste parole, tutto il senso della nostra Costituzione. Un "giovane" testo che da più di settanta anni fa da guida alla Repubblica italiana. Un testo figlio della Resistenza e della Liberazione che racchiude i diritti inviolabili e i doveri inderogabili di ciascun individuo, un testo che è doveroso conoscere, custodire, proteggere, applicare.