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Che le prossime elezioni europee del 23-26 maggio siano un crocevia storico, e senza dubbio il più importante appuntamento da quando esiste il Parlamento europeo, è molto chiaro al movimento sindacale. Non a caso il 26 febbraio scorso la Confederazione sindacale europea (Ces) ha lanciato un suo programma (Un’Europa più giusta ed equa per i lavoratori), concordato dalle 90 organizzazioni sindacali nazionali affiliate, in rappresentanza di circa 45 milioni di lavoratori. La confederazione invita “tutti i cittadini a votare alle elezioni, e a votare per quei partiti e per quei candidati” che si impegneranno a costruire “un’Europa più giusta ed equa per i lavoratori, basata sulla democrazia e la giustizia sociale, su occupazione di qualità e retribuzioni più elevate, e su una transizione socialmente giusta ed equa verso un’economia digitale a basse emissioni di carbonio”. Questi tre punti, secondo la Ces, dovrebbero costituire “la base di un nuovo contratto sociale per l’Europa”.
Il senso di questo voto e il grado di mobilitazione cui si prepara la Ces (che celebrerà il proprio congresso a Vienna pochi giorni prima delle elezioni europee) si percepisce già dal primo punto (su 23 in totale) del programma, in pratica un monito: “Il nuovo Parlamento europeo può rendere l’Ue un luogo migliore o minare la cooperazione europea costruita nel corso di molti anni”. Aut-aut. Non ci saranno pareggi. Usciti – si fa per dire – da una crisi che “ha lasciato profonde cicatrici sui lavoratori”, sindacati e forze politiche affini possono e devono rilanciare un’Europa che sia “una forza per il progresso sociale”.
Il percorso indicato dalla Ces è l’attuazione del cosiddetto “Pilastro europeo dei diritti sociali” a livello europeo e nazionale. E dunque: “Diritto a istruzione e formazione permanente di qualità, a salute e sicurezza sul lavoro, a condizioni di lavoro eque, a retribuzioni eque, a occupazione stabile e sicura, all’uguaglianza di genere, all’equilibrio tra vita e lavoro e a servizi pubblici di qualità”. Il programma Ces (che si può consultare qui) prosegue poi con altri punti chiave su welfare, pensioni e servizi sociali garantiti a tutti, dialogo sociale e contrattazione collettiva, aumento dei salari, governo della transizione digitale e ambientale (la decarbonizzazione) senza lasciare nessuno indietro, tutele e attenzione verso i lavoratori atipici e precari, nelle piattaforme e nell’economia dei lavoretti (la cosiddetta gig economy).
Fin qui sembrerebbe il “classico” programma sindacale per un’Europa sociale. Ma la situazione è tutt’altro che ordinaria o classica, come ammette per primo Luca Visentini, segretario generale della Ces: “Queste sono le più importanti elezioni europee che io ricordi. Dobbiamo convogliare le frustrazioni dei cittadini in un voto per i partiti che sostengono le nostre richieste di un’Europa più giusta per i lavoratori”. Il sindacato conosce bene tutte le ferite sul corpo del mondo del lavoro, accumulate in oltre dieci anni di crisi economica e mancate risposte politiche: crollo dei salari e dei servizi pubblici, disoccupazione, disuguaglianze crescenti, aumento dell’insicurezza a causa della “globalizzazione non regolamentata” e della “mancanza di un approccio giusto e coordinato dell’Ue in tema di migrazioni e cambiamenti climatici”. Tutto ciò – ammonisce la Ces – ha “creato incertezza e paura”, e ha “alimentato la crescita delle forze nazionaliste, antieuropee e di estrema destra”. Arriviamo quindi al nocciolo della questione: “La democrazia è a rischio a causa degli estremisti”, ma “il nazionalismo non offre soluzioni ai problemi che oggi ci troviamo ad affrontare”.
Lo scorso dicembre, intervenendo a un dibattito su migranti e accoglienza organizzato dalla Flai Cgil nel suo congresso nazionale, Visentini aveva lanciato un allarme: “Purtroppo c’è una fortissima prevalenza di partiti nazionalisti e xenofobi. Il progetto europeo è a rischio”. Il segretario Ces aveva quindi citato un sondaggio diffuso tra i sindacati europei, dal quale emerge che “un terzo circa degli iscritti hanno votato per le forze xenofobe”. E aveva proseguito: “Le regioni, le città, i territori, i posti di lavoro dove c’è una maggiore adesione a questi movimenti non sono le zone dove c’è maggiore presenza di immigrati: dunque la xenofobia è una scusa”. Stando ai dati riportati da Visentini, le tipologie delle persone catturate dalla xenofobia sono due: “Coloro che hanno conquistato nel tempo qualcosa e hanno paura di perderlo. Coloro che hanno già perso una prospettiva per il futuro, non hanno un lavoro decente, un salario adeguato, non hanno accesso alla casa, all’istruzione e alle protezioni sociali, e vivono in condizioni di precarietà”. Questi due elementi, “la paura di perdere qualcosa o aver perso tutto, non sono legati agli immigrati, ma al fatto che c’è stata la crisi. Tutto questo è la vera radice della situazione. Il sindacato deve quindi ripartire dai problemi reali dei lavoratori, dei disoccupati, dei giovani, dei pensionati. Dobbiamo farci carico dei problemi delle persone. Dimostrare che il movimento sindacale riesce a dare risposte concrete”, aveva concluso Visentini.
Il programma lanciato negli scorsi giorni va in questa direzione. Sulla tenuta e i valori della democrazia la Ces è inequivocabile nel chiedere “un’azione dell’Ue” per difendere “i principi democratici, i diritti sindacali e i diritti delle donne, nonché per sostenere lo stato di diritto, applicare tolleranza zero con riferimento ai discorsi che incitano all’odio, migliorare la partecipazione democratica e preservare il diritto delle persone, dei sindacati e della società civile ad effettuare campagne per l’interesse pubblico”.
Anche su migranti e accoglienza le parole del sindacato sono nette: “Il fenomeno migratorio deve essere gestito in modo che i diritti umani siano tutelati, che tutte le persone abbiano pari trattamento sul lavoro e nella società e che lo sfruttamento abbia fine. Dobbiamo lavorare insieme in tutta Europa per l’integrazione e l’inclusione dei migranti, a beneficio di tutti”.
“Sarà necessaria una nuova coalizione di partiti democratici nel nuovo Parlamento europeo – conclude sempre Visentini –. I partiti antieuropeisti, razzisti e fascisti non hanno nulla da offrire e non dovrebbero avere la possibilità di sostenere una maggioranza antisociale. Sarebbe una catastrofe per l’Ue”. Se la catastrofe sarà evitata oppure no, non possiamo ancora saperlo. Quello che sappiamo è che il sindacato farà la sua parte per scongiurarla.