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Francisca non poteva certo immaginare che da un giorno all'altro si sarebbe ritrovata dentro una pagina di storia, così simile a quelle studiate sui banchi di scuola, che raccontano anche gli anni bui del suo Paese, la dittatura di Augusto Pinochet, le rivolte, la repressione, i militari nelle strade. “Penso che in qualche modo sia più facile per noi giovani vivere queste giornate, perché per i nostri genitori rischiano di riaprirsi ferite dolorose e non ancora rimarginate”. Francisca ha solo vent'anni, ma ad ascoltarla ne dimostra molti di più. È una studentessa universitaria di scienze sociali della Pontificia Universidad Católica de Chile, a Santiago, e da più di una settimana ormai è coinvolta nelle proteste che stanno scuotendo in maniera violenta il suo Paese.
“La situazione in Cile è cambiata radicalmente negli ultimi giorni – ci spiega –. Un sistema economico e politico apparentemente stabile è letteralmente esploso dopo 30 anni in cui un profondo malessere sociale è rimasto sotto traccia”. Un malessere che, secondo Francisca, ma più in generale secondo il movimento di protesta e le organizzazioni sociali che lo stanno animando, deriva dall'applicazione di politiche neoliberiste estreme, che hanno permesso un arricchimento esagerato per i grandi gruppi economici, mentre la maggioranza della popolazione si andava impoverendo sempre di più. Un modello che affonda le sue radici nella dittatura di Augusto Pinochet, che portò alla privatizzazione di tutte le imprese statali, finite nelle mani di un cerchio ristretto di gruppi economici, ma anche a un attacco profondo ai “diritti sociali”: salute, educazione, pensioni, acqua e lavoro. Questo ha fatto esplodere le disuguaglianze in maniera clamorosa. Il grafico qui sotto, proposto dall'economista Branko Milanovic, mostra la quota di ricchezza dei miliardari sul Pil, il Cile è al primo posto.
“Mia nonna ha una pensione di 80 mila pesos al mese – racconta Francisca – che sono circa 100 euro. Mentre un politico arriva a prendere anche più di 10 milioni di pesos al mese. È chiaro che un'ingiustizia di queste proporzioni non può continuare ed è per questo che se il governo pensa che le proteste siano finite si sbaglia di grosso. Qui abbiamo appena iniziato”.
E in effetti, dopo gli scioperi della scorsa settimana e l'enorme manifestazione di venerdì a Santiago (oltre un milione di persone in piazza, una delle più grandi di sempre), anche questa settimana la mobilitazione non sembra accennare a fermarsi. Ogni giorno sono in programma cortei, iniziative, presìdi, mentre oggi, mercoledì 30 ottobre, è in programma uno sciopero generale, convocato da una rete molto vasta di soggetti riuniti sotto l'hashtag #unidadsocial, della quale fanno parte i sindacati, le organizzazioni studentesche, quelle femministe e molte altre realtà.
“Io spero di cuore che la gente continui ad essere incazzata perché ancora non abbiamo ottenuto niente – continua Francisca –, solo una terribile repressione. C'è un mio amico, uno studente di medicina, che è stato preso dalla polizia militare, detenuto, torturato e violentato anche sessualmente. Tutto questo è terribile”. E, purtroppo, il caso segnalato da Francisca non è isolato. Anche Amnesty International è intervenuta denunciando “diversi decessi, detenzioni di massa e decine di persone torturate o maltrattate”.
Ma questo non sembra poter fermare l'onda della protesta. “Ci sono dei rischi che vanno presi – dice ancora, con il sorriso in volto, la giovane studentessa cilena –, anche perché la nostra generazione ha questa responsabilità, quella di lottare per un mondo più giusto. Anche perché il mondo che abbiamo sta collassando per colpa di sistemi come il neoliberismo che abbiamo qui in Cile. E siccome non possiamo uccidere il pianeta, dobbiamo continuare a lottare, sempre a testa alta. Vi giuro, ne vale la pena”.