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L’invio delle armi in Ucraina, deciso dal governo e approvato dal nostro Parlamento praticamente all’unanimità, è una questione dirimente. Anzi, è la questione. Racconta chi siamo, dove siamo e quale posizione prendiamo nel conflitto, come Italia ma anche come Europa. “L’Unione europea ha scelto di essere parte in questa guerra, non terza parte, non promotrice di incontri di pace, con la decisione assunta per la prima volta nella storia di fornire armamenti a Kiev - dichiara Franco Uda, componente della presidenza nazionale dell’Arci, associazione di promozione sociale -. Questa decisione ci ha lasciato sbigottiti. Avremmo voluto che fosse la Ue a promuovere i negoziati, e invece…”.
Questa è una posizione impopolare, sono stati in molti a legittimare la scelta, ad avallarla, per il semplice fatto che altrimenti gli ucraini non avrebbero potuto difendersi. Che cosa risponde?
Noi non siamo contro il diritto degli ucraini a resistere all’invasione, che peraltro è previsto dal diritto internazionale. La nostra critica è rivolta piuttosto agli effetti dell’invio di equipaggiamenti militari. Mentre chiedevamo, noi e tutto il resto del mondo, una de-escalation del conflitto, abbiamo fornito armi in un teatro di guerra, operazione che porta dritti nella direzione opposta, cioè aumenta le tensioni in una situazione difficile da governare. Non dimentichiamoci quello che ci dice la storia recente.
A quali insegnamenti della storia si riferisce?
Dove sono finite le armi che come Occidente abbiamo fornito contro Bashar al-Assad in Siria? Dove sono quelle date ai talebani al tempo per sconfiggere e per fare la resistenza all’esercito dell’Unione sovietica? Ecco, le risposte a queste domande dovrebbero insegnarci qualcosa, invece sembra che non ci abbiano insegnato niente. Noi siamo solidali e vicini alla popolazione civile dell’ucraina che come capita sempre sta pagando il prezzi più alto di questa guerra. Lo testimoniano le lunghe file di profughi che affollano la frontiera con la Polonia, bambini e bambine, madri, che hanno lasciato i loro genitori, padri, mariti a difendere in qualche modo il Paese. E siamo vicini alla popolazione civile e alla società civile della Russia che rischia in prima persona per fare manifestazioni di piazza, per protestare e dimostrare il proprio dissenso politico, nonostante lì i diritti civili siano al minimo.
Non vorrei fare l’avvocato del diavolo, ma con la solidarietà non si fermano i carri armati.
Ma quanto sono forti le immagini che abbiamo visto alla televisione, delle persone che si opponevano inermi e con le mani alzate all’avanzare dei carri armati in Ucraina? Dobbiamo ripartire da lì, dobbiamo ristabilire contatti forti con questa parte della resistenza di Kiev, sostenerli nel loro percorso e dimostrare che quella è la strada giusta. Intorno a queste esperienze possiamo costruire una grande resistenza a questa guerra, una resistenza che non prevede l’elmetto, ma la difesa civile non armata e non violenta. Anche perché gli analisti più attenti dicono che per occupare quel Paese ci vorrà tempo, che questa è una guerra destinata a durare tanto che probabilmente e purtroppo farà molte altre vittime. Non credo che la Russia sia in grado di controllare tutta l’Ucraina e allora noi dobbiamo rinforzare tutti i meccanismi che porteranno agli scioperi generali, ai sit-in non violenti. Di fronte a questo dobbiamo spiazzare il potentissimo esercito russo. Non è mandando le armi che risolviamo questa guerra.
E l’Onu che fine ha fatto?
Le Nazioni Unite hanno ceduto il passo a quella che è stata una vera e propria occupazione dello spazio pubblico mediatico nelle ultime settimane operata dai potenti della Terra, dalle alleanze, dai blocchi militari. Hanno parlato tutti, ma noi vorremmo che la parola tornasse all’Onu, sia perché deve condurre i negoziati tra le parti, che perché deve affermare il principio di neutralità attiva che chiediamo. La neutralità attiva non significa equidistanza dalle parti. Noi sappiamo e riconosciamo chi è l’aggressore e chi sono gli aggrediti. Significa essere un soggetto terzo capace di fare la mediazione. Chi faciliterà oggi la mediazione sarà il vero vincitore di questa guerra domani.