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Subito dopo Taylor Swift, al centro della campagna elettorale americana ci sono i sindacati. Donald Trump e Kamala Harris si contendono i voti del mondo del lavoro. I media principali dedicano alle unions prime pagine, coperture multimediali, decine di articoli. Sondaggi, analisi, previsioni: è tutto uno schieramento di dati e opinioni su quanto inciderà la capacità di mobilitazione sindacale nel testa a testa presidenziale di novembre.
Ovviamente negli Stati in bilico, questo ormai l’abbiamo capito tutti. Là dove, a causa dell’arcaico sistema elettorale Usa, pochi voti di differenza potrebbero determinare l’esito dell’elezione, a discapito e nonostante il dato nazionale complessivo.
Wisconsin, Pennsylvania, Michigan, Nevada (senza dimenticare la Florida): Stati dove tra il 15 e il 20 per cento dell’elettorato è composto da “famiglie sindacalizzate”, per usare il gergo americano. Ossia da nuclei familiari tra i cui membri, iscritti alle liste elettorali, almeno uno ha una tessera sindacale. Un gruppo sociale che potrebbe davvero essere l’ago della bilancia.
La maggior parte delle centrali sindacali è schierata, come da tradizione, al fianco dei Democratici. La scommessa è se, e quanto, sapranno convincere i propri iscritti a votare per Kamala Harris. Due cose sono sicure. La prima: il mondo del lavoro organizzato si sta mobilitando come mai in precedenza per sconfiggere Trump. La seconda: i sindacati sono centrali nella campagna presidenziale 2024, e questo è anche un po’ paradossale, visto il clima non esattamente union friendly che da molte decadi si respira negli Stati Uniti, e che ha portato a una de-sindacalizzazione della società americana.
Il “tradimento” dei Teamsters
La maggior parte delle centrali sindacali… tranne i Teamsters. Il potente sindacato dei camionisti (e non solo camionisti: 1,3 milioni di iscritti in diverse categorie di lavoratori) guidato da Sean O'Brien ha annunciato che non appoggerà né Harris né Trump.
"Purtroppo, nessuno dei due candidati principali è stato in grado di impegnarsi seriamente con il nostro sindacato per garantire che gli interessi dei lavoratori siano sempre anteposti alle grandi aziende", ha affermato O'Brien, citando poi due sondaggi interni dai quali emergerebbe una spaccatura tra gli iscritti rispetto ai candidati presidenziali. I Teamsters non hanno però spiegato come sono stati selezionati i partecipanti ai sondaggi, e in quanti sono stati coinvolti.
Se guardiamo alla storia recente dei Teamsters, è una notizia inattesa. Dal 1996 a oggi hanno sempre sostenuto il ticket democratico in ogni elezione presidenziale. Ma se guardiamo agli ultimi mesi, stupisce di meno. O’Brien ha infatti partecipato alla Convention Repubblicana di luglio che ha incoronato Trump. In quel momento era ancora Biden il candidato Democratico. Poi è cambiato tutto. Dopo l’ascesa di Harris, e dopo la sciagurata conversazione con Musk, in cui Trump ha mostrato tutta la pochezza dei suoi temi “sindacali”, O’Brien ha provato a correre ai ripari, ma la Convention Democratica di agosto gli ha chiuso le porte in faccia, mentre tutti i leader sindacali vi sono intervenuti.
La rivolta dei Teamsters locali
Secondo il Washington Post il mancato endorsement “è un duro colpo per la campagna di Harris”. Ma ha causato anche una profonda spaccatura tra la leadership nazionale e le sezioni locali e regionali dei Teamsters. Già all’indomani della conferenza stampa di O’Brien i consigli regionali di Pennsylvania occidentale, Wisconsin, Nevada e Michigan (centinaia di migliaia di iscritti tra lavoratori attivi e pensionati) hanno sconfessato la linea centrale e dichiarato pieno appoggio a Kamala Harris.
E l’emorragia non è finita più. Si sono schierate con i Democratici anche le sezioni di New York, Philadelphia, Long Beach, California e Miami, Minnesota, Iowa, North Dakota, South Dakota, Florida, Georgia, Alabama e, infine, l’intera Pennsylvania Conference of Teamsters (95 mila iscritti). A oggi, insomma, è difficile affermare che i Teamsters non si stiano schierando. E la dichiarazione di astensionismo dei vertici potrebbe mettere in discussione persino la guida della sigla sindacale.
Kamala Harris resta avanti nei sondaggi
Un sondaggio nazionale tra gli elettori registrati, curato da Fox News a metà settembre, ha rilevato che Harris gode del 53 per cento di sostegno rispetto al 47 per cento di Trump tra le “famiglie sindacalizzate”. Nel 2020 Biden aveva il 56 per cento contro il 40 per cento di Trump.
Ma la campagna è ancora lunga e tutto può succedere. La candidata Democratica sta puntando molto sulla continuità pro-Labour rispetto all’amministrazione Biden. Il suo staff ne ricorda spesso l’impegno come presidente della task force della Casa Bianca sull'organizzazione e l'emancipazione dei lavoratori, volta a ridurre gli ostacoli alla sindacalizzazione.
Un portavoce della campagna ha anche osservato che, da presidente, Harris potrebbe varare il Protecting the Right to Organize Act, il famoso PRO Act. Una ambiziosa riforma del lavoro che ripristina le libertà e tutele sindacali negli Usa. È stata approvata più volte dalla Camera, ma non è mai diventata legge.