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A poche settimane dalla scadenza fissata per l'attuazione della direttiva europea sul salario minimo, gran parte degli Stati membri dell'Unione Europea non ha ancora completato il processo di recepimento nelle proprie normative nazionali. La direttiva è cruciale per migliorare le condizioni di lavoro di circa 20 milioni di persone in tutta Europa, grazie all'introduzione di un salario minimo legale adeguato e alla promozione della contrattazione collettiva, riconosciuta come il principale strumento per garantire retribuzioni eque.
La scadenza del 15 novembre
Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 15 novembre. Ma, ad oggi, solo sei Stati membri hanno adeguato la propria legislazione recependo formalmente le disposizioni UE. Belgio, Ungheria, Lettonia, Lussemburgo, Polonia e Romania hanno approvato le bozze di legge necessarie per adeguare le rispettive normative nazionali ai nuovi requisiti. In altri nove Stati membri - Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Paesi Bassi, Slovacchia e Spagna -, i lavori sono ancora in corso e il dibattito interno prosegue su come meglio attuare le disposizioni europee.
L’Italia nel gruppo dei peggiori
Al contrario, in sette Stati membri - Cipro, Estonia, Francia, Italia, Lituania, Malta e Portogallo - il processo di recepimento non è ancora stato avviato. In tre Stati membri, Germania, Irlanda e Slovenia, i governi hanno concluso che non è necessaria alcuna azione legislativa per adeguarsi alla direttiva, perché le normative interne già soddisfano i requisiti minimi fissati dall'UE.
La campagna “Wage Up” della Ces
Questi dati emergono dall'analisi condotta nell'ambito della campagna "Wage Up" promossa dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces), il cui obiettivo è assicurare che tutti gli Stati membri rispettino pienamente i propri obblighi in materia.
Un ulteriore strumento messo a disposizione dalla Ces è una piattaforma online che monitora costantemente i progressi nell'attuazione della direttiva. I risultati finora emersi sono preoccupanti. Solo due Paesi dell'UE hanno raggiunto livelli di adeguatezza salariale in linea con la soglia della "double decency", che prevede un salario minimo pari al 60 per cento del salario mediano lordo e al 50 per cento del salario medio lordo. Questo indica che, in gran parte dell'Europa, i salari minimi legali non sono sufficientemente adeguati a garantire una vita dignitosa per i lavoratori.
Indietro anche sulla contrattazione collettiva
Altri dati rilevati dallo strumento della Ces mostrano che soltanto otto Paesi europei hanno una copertura della contrattazione collettiva superiore all'80 per cento, una soglia indicata dalla direttiva come necessaria per assicurare un'ampia protezione dei diritti dei lavoratori. La povertà lavorativa, inoltre, rimane una sfida significativa: in ben sette Stati membri, oltre il 10 per cento dei lavoratori vive ancora in condizioni di povertà, nonostante disponga di un impiego. Questo dato riflette la persistente difficoltà per molti lavoratori di far fronte alle spese quotidiane, soprattutto in un contesto economico segnato da crescenti disuguaglianze e da una crisi del costo della vita che continua ad aggravarsi.
Giovani in condizioni critiche
Un altro aspetto critico riguarda la situazione dei giovani lavoratori: otto Stati membri consentono attualmente ai datori di lavoro di pagare ai giovani salari inferiori rispetto al minimo legale. In alcuni casi, i giovani possono ricevere fino al 70 per cento in meno rispetto al salario minimo stabilito dalla legge, perpetuando una condizione di sfruttamento che penalizza i nuovi ingressi nel mercato del lavoro.
Gender gap ancora ampio
Anche le disparità di genere rappresentano un problema: le donne nell'UE, che sono più spesso impiegate in settori sottovalutati e tradizionalmente legati a mansioni femminili, continuano a guadagnare fino al 21 per cento in meno rispetto agli uomini. Questa disuguaglianza si manifesta soprattutto in quei lavori dove le donne sono maggiormente rappresentate, come i servizi di cura e assistenza.
Tea Jarc (Ces): “Basta ritardi”
"In un momento in cui milioni di persone sono bloccate nella povertà nonostante lavorino duramente ogni giorno, mettere in atto la direttiva sul salario minimo dovrebbe essere una priorità per tutti i governi nazionali”. Lo afferma Tea Jarc, segretaria confederale della Ces, esprimendo preoccupazione per il lento avanzamento dei lavori di recepimento della direttiva.
"La crisi del costo della vita – prosegue la dirigente sindacale - ha reso ancora più difficile per i lavoratori pagati con il salario minimo arrivare a fine mese nonostante il fatto che i profitti aziendali siano aumentati”. Jarc ha inoltre ricordato che i lavoratori hanno atteso già due anni per vedere questa direttiva trasformata in realtà e che ulteriori ritardi non sono più accettabili.
Il caso tedesco
Un'analisi della situazione nei principali Paesi evidenzia disparità significative. In Germania, ad esempio – si evince dallo strumento online sviluppato dalla Ces –, il salario minimo legale è fissato a 12,41 euro l'ora (che corrisponde a una mensilità di 2.151 euro), ma, a causa dell'inflazione, si registra un calo del 2,5 per cento in termini reali rispetto all'anno precedente. Il divario retributivo di genere è del 17,7 per cento, mentre il tasso di povertà lavorativa è del 6,5 per cento. La copertura della contrattazione collettiva è del 50 per cento.
Il “minimo” in Francia
In Francia il salario minimo è di 11,65 euro l'ora (1.766,92 euro mensili), con un calo del 2,2 per cento. Il divario retributivo di genere è del 13,9 per cento, mentre il tasso di povertà lavorativa è del 7,5 per cento (dati per il 2022). La copertura della contrattazione collettiva è del 95 per cento.
Le politiche spagnole
In Spagna, invece, il salario minimo è di 8,87 euro l'ora (1.323 euro mensili), con un lieve aumento dell'1,5 per cento. Il divario retributivo di genere è dell'8,9 per cento, mentre il tasso di povertà lavorativa è dell'11,3 per cento. La copertura della contrattazione collettiva è del 91 per cento
Italia: non pervenuta
In Italia, a differenza di molti altri Paesi, non esiste un salario minimo legale e i salari vengono determinati attraverso la contrattazione collettiva, che garantisce una copertura del 100 per cento dei lavoratori.