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Su salario minimo e contrattazione l’Europa sta disobbedendo all’Europa. Suona incomprensibile ma non c’è altro modo di dirlo. La Direttiva Ue adottata a ottobre 2022 è rimasta quasi lettera morta. Pochi Stati membri l’hanno recepita. Molti non hanno nemmeno iniziato il processo di trasposizione, ossia non hanno avviato le procedure di recepimento della Direttiva nel proprio ordinamento legislativo. C’era una data di scadenza fissata, il 15 novembre 2024, ma quasi tutti hanno fatto finta di nulla. E l’Italia sta tra coloro che si sono comportati peggio, come abbiamo già scritto.
In Europa c’è chi lavora contro la Direttiva
È la Confederazione europea dei sindacati (Ces) a richiamare l’attenzione su una situazione assurda da qualsiasi punto di vista la si osservi, e inaccettabile sul piano istituzionale e sociale.
“La maggior parte dei governi europei – denuncia la Ces – non è riuscita a rispettare la scadenza per recepire la Direttiva sul salario minimo nella legislazione nazionale, e alcuni stanno attivamente lavorando contro gli obiettivi della Direttiva”.
“Oltre 20 milioni di persone – prosegue il sindacato europeo – potrebbero ottenere un aumento di stipendio se la Direttiva venisse correttamente implementata dagli Stati membri, con salari minimi che soddisfino il costo della vita e più lavoratori coperti da salari contrattati collettivamente”.
Quando la destra comanda…
“Lavorare contro gli obiettivi della Direttiva”: non è un’affermazione di poco conto, questa della Ces. Significa che è in atto un sabotaggio istituzionale delle regole comunitarie, perché – e ci si perdoni l’inciso di educazione civica – le direttive Ue non sono norme esattamente facoltative per gli Stati. Ma negli ultimi due anni il vento politico, in Europa, ha virato nettamente a destra. E quando la destra comanda, i primi a farne le spese sono i lavoratori.
“La direttiva richiede agli Stati membri di verificare l'adeguatezza dei loro salari minimi legali e offre valori di riferimento a tale scopo: il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio. Richiede inoltre agli Stati membri con un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore all'80% di adottare misure volte a promuovere la contrattazione collettiva e ad aumentare tale tasso”.
Oggi lo sciopero in Grecia
Proprio oggi, 20 novembre, la Grecia si è fermata per uno sciopero generale indetto dalla confederazione sindacale Gsee. Il sindacato chiede al governo di Atene di intervenire sul calo del potere d'acquisto dei lavoratori causato da bassi salari e affitti e prezzi alle stelle. E di ripristinare la normale contrattazione collettiva “sospesa” dalla troika. Secondo la Ces, lo sciopero greco “dimostra la necessità che i governi nazionali rispettino pienamente la Direttiva sul salario minimo”.
Poi si ferma l’Italia
“Tra il 2015 e il 2023 – ricorda la Ces – la Grecia ha registrato il calo maggiore dei salari reali (-8,3%) tra i Paesi dell'Ue e, insieme all'Italia, è stato uno dei pochi Stati membri in cui il reddito disponibile lordo reale delle famiglie nel 2023 era inferiore a quello del 2009”.
“Insieme all’Italia”: ecco un altro passaggio da sottolineare, visto che dopo la Grecia sarà proprio l’Italia a fermarsi per lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil il prossimo 29 novembre.
L’osservatorio Wage Up
La soglia della "doppia decenza" (60% del salario mediano e 50% del salario medio) contenuta nella Direttiva potrebbe avere un impatto decisivo sui redditi di milioni di lavoratori europei. E la Ces, che ha lanciato Wage Up, un osservatorio utilissimo sullo stato di applicazione della Direttiva nei Paesi membri, sottolinea come l'applicazione di questa legislazione sia “il primo grande test per la Commissione entrante”.
Potrebbe cambiare le carte in tavola
“La Direttiva sul salario minimo ha il potenziale per cambiare le carte in tavola”, commenta la segretaria confederale della Ces, Tea Jarc, “ecco perché è scioccante che così tanti governi non siano riusciti a mantenere le promesse fatte ai lavoratori due anni fa. Vergognosamente, alcuni stanno persino cercando di minare la retribuzione equa e la contrattazione collettiva”.
Un processo deludente
Finora il processo di recepimento “è stato piuttosto deludente”, osserva Torsten Müller, ricercatore senior presso l'Istituto sindacale europeo (Etui). Secondo l’analista, “ci sono state due tendenze chiave. La prima è che molti Paesi sono in ritardo e non hanno rispettato la scadenza. Questo può essere perché stanno ancora discutendo la bozza di legislazione o perché il governo non vede la necessità di agire. La seconda tendenza è che, dove il recepimento è stato fatto, è stato molto minimalista: è il caso, ad esempio, di Ungheria e Germania”.
“La maggior parte dei governi degli Stati membri ha votato a favore di questa direttiva, ma ora, quando si arriva al dunque, stiamo assistendo a una mancanza di ambizione”, aggiunge Müller.
La “pigrizia” di Francia e Olanda
La Ces ha raccolto anche le valutazioni e i commenti dei diversi sindacati nazionali sulla situazione della Direttiva Stato per Stato. Scopriamo così che in Olanda non solo “la scadenza per l'attuazione non verrà rispettata”, ma “quel che è ancora peggio è che la legislazione attuativa proposta dal governo non soddisfa i requisiti della Direttiva” (fonte Fnv). Oppure che in Francia non accadrà nulla perché “il governo ritiene che la legge francese sia già conforme e che non vi sia nulla di sostanziale da aggiungere o modificare” (fonte Cgt).
Repubblica Ceca, Lettonia e Italia: attacco a salario minimo e contrattazione collettiva
Ancora più grave il caso di alcuni Paesi dove, denuncia la Ces, “i governi nazionali hanno adottato misure volte a ridurre i salari e la copertura della contrattazione collettiva”.
È il caso della Repubblica Ceca, dove “il governo, senza consultare le parti sociali, ha introdotto un emendamento al Codice del lavoro che ha abolito il concetto di 'salario garantito' per i lavoratori del settore privato”. O della Lettonia, dove - riporta sempre il sindacato europeo - il governo sta cercando di “introdurre il diritto di recedere unilateralmente dai contratti collettivi”.
Aggiungiamo alla lista l’Italia del Governo Meloni: il ddl delega sul lavoro approvato alla Camera, se diventasse legge, stravolgerebbe e indebolirebbe la contrattazione collettiva. Altro che salario minimo e trasposizione.