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I Giochi della XIX Olimpiade si svolgono a Città del Messico dal 12 al 27 ottobre 1968. Sarà un’olimpiade particolare, passata alla storia per due eventi: il massacro pre-olimpico e il saluto a pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos.
Il 2 ottobre, dieci giorni prima dell’apertura dei giochi, nella Piazza delle tre culture a Città del Messico, un gruppo di studenti manifestava pacificamente per protestare contro la grossa spesa sostenuta dal presidente Gustavo Díaz Ordaz per costruire gli impianti per gli imminenti giochi olimpici. I soldati, non si sa se per ordine diretto del presidente, inizieranno a sparare ad altezza d’uomo. Sarà una strage della quale non verrà mai reso noto il numero dei morti, secondo alcuni forse addirittura centinaia. Tra i giornalisti presenti sul posto anche Oriana Fallaci, rimasta ferita e in un primo momento addirittura creduta morta. La giornalista inciderà su un nastro della stanza dell'ospedale le sue considerazioni.
Mi sento male ho ancora la testa confusa. Vedi, c’è qualcosa che mi fa più male del dolore, di questo dolore tremendo alla spalla, al polmone, al ginocchio, alla gamba, mi fa più male del dolore fisico: mi fa male questo incubo che ritorna, che mi ossessiona. Il dolore fisico si sopporta ma l’incubo no. Non è l’incubo della guerra del Vietnam, io nel Vietnam ho visto delle cose spaventose, ho seguito delle battaglie tremende, dei pericoli allucinanti, ma era diverso, perché sapevo di andare alla guerra. Uno va in Vietnam e sa che va alla guerra e la guerra è una cosa dove ci sono dei signori armati da una parte e degli altri signori armati dall’altra: sai anche che si spara da tutte e due le parti. Ma quello che è successo là la sera in cui sono stata ferita non era una guerra. Era atroce perché non era la battaglia di Dak-To, non era la battaglia ai confini con la Cambogia o che diavolo. E non aveva niente a che vedere con le guerre che più o meno tutti, facendo questo mestiere, abbiamo visto come corrispondenti. Capisci? Non era una guerra. E non doveva essere una notte di sangue (...).
C’è da tener conto che il 1968, l’anno dei giochi, fu un anno particolare. L’anno della primavera di Praga e dei pugni chiusi di Tommie Smith e John Carlos è anche l’anno degli studenti, del Primo maggio francese, delle grandi manifestazioni, delle occupazioni. L’esplosione della contestazione giovanile, radicale e irriverente, coglie di sorpresa tutti. A distinguere il movimento del Sessantotto è il carattere generazionale della rivolta insieme all’ampiezza dell’evento. Protagonisti della contestazione sono soprattutto i giovani, dei quali scriveva Rossana Rossanda: “La novità più sconcertante del 1968, rispetto alla tradizione delle lotte operaie, è lo studente. Lo studente come soggetto politico d’una totale rimessa in causa del sistema democratico”.
Al cinema escono 2001 odissea nello spazio di Stanley Kubrick e C’era una volta il west di Sergio Leone; una tazza di caffè al bar costa in Italia 50 lire, un litro di benzina 75. Pier Paolo Pasolini scrive sui fatti di Valle Giulia e Martin Luther King viene ucciso da un sicario sul balcone del Motel Lorraine di Memphis davanti alla stanza 306 (due mesi dopo a Los Angeles sarà assassinato il candidato democratico alla Presidenza degli Stati Uniti Robert Kennedy, fratello di John). Gli aerei B52 americani bombardano le pianure del Vietnam, i ragazzi marciano contro la guerra e bruciano le cartoline di precetto davanti ai distretti militari americani cantando le canzoni di Bob Dylan.
Uno degli eventi per il quale questo anno sarà ricordato sarà la premiazione olimpica dei 200 metri piani, durante la quale il vincitore a tempo di record del mondo Tommie Smith e il suo connazionale John Carlos, terzo classificato, alzeranno il pugno chiuso guantato in nero in segno di protesta contro il razzismo e in risalto delle lotte di potere nero, mentre Peter Norman, australiano, sfoggerà una spilla in favore dei diritti umani. Tommie e John - pugni chiusi e guanti neri - ascolteranno l’inno nazionale americano con il capo chinato come per vergogna, tenendo gli occhi fissi sulle loro medaglie come in segno di protesta.
Lo stesso gesto verrà adottato dalla ginnasta ceca Věra Čáslavská, che trovandosi sul gradino più alto del podio insieme alla sovietica Larisa Petrik dopo la gara di corpo libero, rifiuterà di guardare la bandiera dell’Urss e di ascoltarne l’inno, tenendo il capo chinato in segno di protesta dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Questo gesto le costerà un ritiro forzato dalle competizioni e il divieto di viaggiare per 12 anni. Quando scenderanno dal podio, anche per Tommie e John la carriera sarà finita, saranno perseguitati, minacciati, espulsi dal villaggio olimpico.
Ci sono voluti anni per far sì che quella protesta silenziosa eppure così potente fosse ascoltata. Ma in tanti abbiamo continuato e continueremo a parlarne, perché certe cose vanno dette, ribadite, sottolineate. Io ho un sogno, non ci stancheremo mai di dirlo.