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Hanno lanciato Sos che sono rimasti inascoltati per due giorni. Le richieste di aiuto ad Alarm Phone di un’imbarcazione carica di migranti, in difficoltà per le condizioni del mare al largo della costa libica, sono state ignorate per 48 ore. E quando si è mossa la nave di una Ong, la Ocean Viking, per portare soccorso insieme a tre mercantili, era ormai troppo tardi. Adesso si contano i cadaveri: 130 morti.
“Siamo di fronte all’ennesima tragedia annunciata nel Mediterraneo, ad altre 130 vite spezzate nel tentativo di salvarsi da orrore, guerra e privazioni – afferma Giuseppe Massafra, segretario confederale Cgil -. Sul fronte dei soccorsi, dei criteri di accoglienza, dei meccanismi di ingresso non è cambiato niente. Quello che è successo in mare ieri notte, i ritardi, il fatto di non essere riusciti a portare soccorso, è la dimostrazione che il ruolo della guardia costiera libica non funziona e che non c’è interesse a salvare le persone”.
Per Cgil Cisl e Uil le incapacità degli Stati sono evidenti: “Da un lato non si assumono la responsabilità di politiche dell’immigrazione che mettano al centro l’umanità, la solidarietà, l’accoglienza – dichiarano in una nota unitaria -, dall’altro non prevedono operazioni di ricerca e salvataggio per evitare di non poter far altro se non contare i cadaveri. Basta stragi annunciate, l’Italia e l’Ue intervengano”.
“Dopo le richieste di aiuto non si è mosso nessuno, questo ritardo è inaccettabile – dichiara Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni -. Cinque minuti in mare fanno la differenza tra la vita e la morte. Aver aspettato due giorni è davvero grave perché questa tragedia si poteva evitare, si poteva fare di più. E dopo 48 ore la nave della Ong che è intervenuta e i tre mercantili in appoggio sono stati lasciati da soli a fare salvataggio senza neppure coordinamento da parte delle autorità marittime. Questo dimostra che manca un sistema di pattugliamento efficace”.
Secondo l’Oim in mare c’erano tre barconi, uno dei quali è stato intercettato dalla guardia costiera libica e portato a terra, “dove uomini, donne e bambini finiscono in centri di detenzione inumani, e cioè tornano in luoghi dove rischiano di diventare vittime delle stesse violenze e abusi da cui sono scappati” spiega Di Giacomo. Del terzo barcone non si hanno notizie.
Da inizio anno a fine marzo dalla Libia sono arrivate in Italia in un porto sicuro 4.500 persone (8.600 se si contano tutti gli arrivi), nello stesso periodo i libici ne hanno riportate indietro 6mila. I numeri quindi sono bassissimi, non paragonabili a quelli di qualche anno fa, e non certo considerabili un’emergenza. Ma quella che si consuma in mare è un’emergenza umanitaria perché sono esseri umani quelli che muoiono tra le onde, persone che fuggono da violenze e torture.
“Serve un cambio di rotta, in Italia e in Europa – affermano Cgil, Cisl e Uil -. Il Patto per la migrazione e l’asilo presentato dalla Commissione lo scorso settembre è lontano dall’essere quel nuovo inizio che era stato paventato, approccio securitario e visione egoistica dei singoli Stati permangono. Occorre innanzitutto superare il famigerato accordo tra Italia e Libia: tutte le intese con Paesi terzi che non garantiscano il rispetto dei diritti umani devono essere stralciate. Sono necessarie misure che riconoscano il diritto alla circolazione delle persone, che sostengano l’aumento delle quote di reinsediamento e dei corridoi umanitari, e garantiscano pienamente il diritto all’asilo”.
Secondo i sindacati vanno riattivate le operazioni di ricerca e salvataggio in mare sul modello Mare Nostrum, e va sostenuto anziché denigrato il prezioso lavoro delle Ong: le donne, gli uomini e i bambini che hanno perso la vita nel naufragio di ieri, come i 450 morti che si contano dall’inizio dell’anno, potevano e dovevano essere salvate.