PHOTO
L’Europa sempre più impaurita si trasforma in una “fortezza” inaccessibile. Non solo perché punta a un ulteriore e significativo incremento delle spese per la difesa, ma anche perché intende rafforzare le barriere ai propri confini. Il 12 marzo a Strasburgo, Magnus Brunner, nuovo commissario per gli Affari interni, ha presentato una proposta di revisione dell’attuale direttiva sui rimpatri. L’intento è chiaro: accelerare le espulsioni e irrigidire le misure per limitare la mobilità di coloro che devono lasciare l’Unione, prevedendo anche strutture di detenzione in Paesi terzi.
Il frutto marcio del Patto migrazione
È il frutto marcio del nuovo Patto europeo, che già delineava un processo di uniformazione delle normative nazionali, la detenzione ai confini e procedure rapide per l’esame delle richieste d’asilo provenienti da chi arriva da Paesi ritenuti “sicuri”. Quel testo introduceva anche la possibilità di trasferire i migranti espulsi in Stati terzi con cui avessero “legami significativi”. Ora si parla apertamente di “hub di rimpatrio” situati fuori dai confini europei.
La Commissione Ue, stretta tra i venti di guerra e le pressioni di Trump e Putin, sceglie quindi di chiudersi a riccio e, evidentemente non paga dell’esternalizzazione dei confini per prevenire gli sbarchi, sceglie anche una sterzata sovranista in tema di rimpatri. La destra italiana esulta, ipotizzando una vittoria europea del modello nato dall'accordo del Governo Meloni con l’Albania di Edi Rama, da cui sono nati i centri destinati a richiedenti asilo in arrivo la cui domanda deve ancora essere esaminata. Eppure, a leggere bene la proposta, gli hub albanesi oltre Adriatico non c'entrano molto. Quello che l'Unione ipotizza, forse, assomiglia di più al modello trumpiano delle deportazioni di messicane a Guantanamo.
Detenzione preventiva
La nuova proposta, come emerge dalle bozze, introduce un “ordine di rimpatrio europeo” con validità in tutta l’Unione, sostituendo i provvedimenti nazionali. In pratica, un migrante destinatario di un’espulsione in un Paese Ue lo sarà automaticamente anche negli altri, senza la possibilità di eludere il provvedimento spostandosi all’interno dell’Unione, come avviene oggi. “Nessun sistema di gestione della migrazione può funzionare senza una politica di rimpatrio credibile ed efficace - si legge nei documenti -. Se persone prive del diritto di restare nell’Ue vi rimangono comunque, l’intero sistema di asilo e immigrazione ne risulta compromesso”.
E ancora: “La mancanza di cooperazione dei cittadini di Paesi terzi che possono opporre resistenza, fuggire o vanificare in altro modo gli sforzi di rimpatrio, rende difficile l'esecuzione delle decisioni di rimpatrio”. Si delinea, di fatto, una forma di detenzione per i migranti destinati all’espulsione. Proprio come a Guantanamo. Il testo prevede infatti la creazione di centri situati “a ridosso” delle frontiere esterne, dove trattenere, in attesa del rimpatrio, i migranti con poche possibilità di ottenere il diritto d’asilo.
L’Albania non c’entra
“La direttiva precedente non consentiva in nessun modo il rimpatrio verso Paesi terzi, ora la revisione apre a questa possibilità – commenta Eleonora Celoria dell'Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) – . Col nuovo regolamento, le persone irregolari possono essere rimpatriate non soltanto verso il Paese d'origine, ma anche verso Paesi terzi, che sono solo di transito o che non hanno nessun collegamento con con le persone che arrivano, indipendentemente dalla presentazione o meno di una domanda d'asilo”.
“Per questo – continua – i return hubs così come sono stati progettati non hanno a che fare con i centri nati dall'accordo Italia-Albania. Perché attualmente tutte le procedure che si svolgono in Albania per conto dell’Italia si svolgono sotto la giurisdizione italiana. Qui è diverso. Il rischio è di rimandare una persona verso un Paese in cui c'è pericolo di trattamenti inumani e degradanti, e tortura. Il rimpatrio, insomma, potrebbe violare i suoi diritti fondamentali”.
La crisi e lo spauracchio
Il tutto, in attesa della pubblicazione, prevista per giugno, della lista Ue dei Paesi terzi considerati sicuri, e dell'entrata in vigore del nuovo Patto migrazione, prevista per il 2026. L'Europa, insomma, con la revisione della direttiva rimpatri fa più di un passo indietro nella garanzia dei diritti umani fondamentali, di cui si presentava come la paladina nel mondo. E di fronte al sovranismo che avanza, per provare a difendersi in qualche modo, introietta la visione e i metodi sovranisti.
“In un momento in cui l'Europa pensa di gestire i conflitti mondiali con il riarmo, non essendo riuscita a trovare una via diplomatica comune, si trincera in se stessa, individuando ancora una volta uno spauracchio esterno”, è il commento di Laura Marmorale, presidente di Mediterranea saving humans. “Così ancora una volta - continua - si fanno ricadere i problemi di instabilità e d'incapacità di governo sulle persone in movimento. Si negano ancora diritti e si rivedono i principi fondamentali su cui l'Unione europea è nata, quelli alla tutela delle persone e all'asilo. Ci si presenta davanti uno scenario buio. È un'Europa fatta di chiusure, respingimenti e detenzioni arbitrarie".
“Il modello italiano con i centri in Albania, come il discorso di insediamento del cancelliere tedesco in pectore Merz, che punta moltissimo sulla chiusura delle frontiere – conclude - ci fanno fare fatica a capire dov'è il confine tra l'estrema destra di Trump e un ipotetico governo moderato europeo. Ci dobbiamo preparare a un'Europa che segrega e che nega i diritti umani”.