Fin che il barchino va lascialo andare, quando non va più intercettalo e dirottalo in Albania. Un tempo terra di migrazioni, ora zona franca per smaltire “carichi residuali” (cit. Piantedosi) in cambio di un passepartout per l’Europa che conta. Ma tra il dire e il fare non c’è di mezzo solo il mare, c’è soprattutto la legge. Per buona pace di questo governo, convinto che aver vinto le elezioni equivalga a fregarsene dello Stato di diritto. Non funziona in questo modo.

E così capita che il Tribunale di Roma scopra l’acqua calda, ovvero che quei dodici poveri migranti deportati in fretta e furia a Gjadër in realtà al di là dell’Adriatico non ci dovevano proprio finire. Ad illuminare la ragione, e un barlume di umanità, è l’applicazione di una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo cui i paesi di origine dei migranti portati in terra albanese non sono considerabili sicuri. Game, set, match.

Tanto rumore per nulla. Seguono le doverose scuse e lo smantellamento della Guantanamo made in Europe, direte voi. Manco per sogno. Invece di rimediare alla figuraccia ed iscriversi ad un corso accelerato di diritto internazionale, dai banchi di governo e maggioranza è partita la solita canizza con cori da stadio all’indirizzo delle “toghe rosse” e dei “giudici politicizzati”. Degno omaggio al compianto cavaliere.

Palazzo Chigi ribolle. Meloni minaccia, Nordio accusa, Salvini s’indigna e prefigura, in diretta al Tg1 delle 20 (sì avete capito bene: in diretta al Tg1 delle 20) che quei dodici disgraziati rispediti in Italia adesso si vendicheranno stuprando, rapinando e uccidendo (sì avete capito bene, ha usato proprio questi tre verbi: stuprare, rapinare, uccidere) le nostre genti.

In un Paese normale un governo dovrebbe avere lucidità e responsabilità istituzionale. In un Paese normale un tribunale della Repubblica dovrebbe garantire giustizia ai propri cittadini in piena autonomia e senza interferenze. In un Paese normale politica e magistratura dovrebbero collaborare e non farsi la guerra. In un Paese normale, appunto.