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“Mi chiamo Nesa Mohammadi. Da quasi tre anni sono in Italia con la mia famiglia, ho studiato ostetricia, ho il livello di dottorato, ho anche una laurea magistrale e prima del ritorno dei talebani lavoravo in Afghanistan, da 11 anni”. Inizia così a raccontarsi una donna afghana che a Kabul era direttrice della Facoltà di ostetricia e dirigeva una clinica per donne incinte e ragazze adolescenti, ma che è dovuta fuggire nel 2021 quando i fondamentalisti islamici sono tornati al potere iniziando a privare delle loro libertà le donne afghane.
“A causa del mio lavoro hanno arrestato me e mio marito e, quando ci hanno rilasciati siamo scappati in Italia, passando prima dal Pakistan. Quando noi siamo arrivati ho iniziato a cercare lavoro, ma tutto quello che mi sentivo dire era che dovevo fare la donna delle pulizie o lavare i piatti nei ristoranti”, ricorda Nesa Mohammadi, la quale poi ha avuto indicazioni per riuscire a vedersi riconosciuti i suoi titoli di studio e imparare la lingua italiana.
L’iter burocratico è stato difficoltoso e, al termine, Nesa ha ricominciato a cercare lavoro come ostetrica, ma, intanto, continua a fare le pulizie nelle scuole. “Sono andata in un ospedale pubblico, ma mi hanno detto che per operare come ostetrica devo fare un concorso e mi hanno indirizzata verso ospedali privati”.
Qui le hanno chiesto di aprire la partita iva, quindi l’hanno messa in prova “in sala parto, dicendo – continua a raccontare la donna – che avrei cominciato prendendo servizio per una settimana, dopodiché avrei lavorato con loro. Dopo una settimana mi hanno detto che invece avrei dovuto lavorare sei mesi gratuitamente prima di avere un contratto. Io ho risposto che non potevo lavorare così perché anche io ho un vita e mi serve mangiare, pagare l’affitto e mantenere i miei due figli”.
Nesa ora è seguita dal Consiglio italiano rifugiati (Cir) e da Nove Caring Humans, la onlus che lavora in ambito della cooperazione internazionale in Afghanistan. “Sono fuggita dall’apartheid di genere in Afghanistan e ora devo pensare al mio futuro. Lavoro come donna delle pulizie, ma voglio tornare a fare il mio lavoro di specialista. Con Nove ho fatto un corso di advocacy, anche perché voglio che tutti conoscano la mia storia. Posso dire – conclude – che tutte le donne afghane come me hanno la speranza che le cose possano cambiare e per questo ci battiamo”.